Qualche tempo fa vi avevamo spiegato che cosa è il disturbo da stress post – traumatico (lo abbiamo fatto qui). Oggi parliamo delle terapie per curarlo.

In breve, il disturbo da stress post-traumatico (PTSD, post – traumatic stress disorder) è l’insieme delle forti sofferenze psicologiche che conseguono ad un evento traumatico, catastrofico o violento subito. È denominato anche “picchio da guerra”, perché inizialmente riscontrato in soldati coinvolti in situazioni belliche di particolare drammaticità (con definizioni e sottotipi diversi: Combat Stress ReactionBattle FatigueShell shock), o anche come conseguenza di atti di mobbing. La risposta che il soggetto può fornire include incubi, flashback e un profondo disagio psichico di fronte ad eventi o persone che gli ricordano l’evento traumatico.

Nel 2009 uno studio del professor Joseph Zohar, tra i maggior esperti sul PTSD e direttore del principale centro della Forza di difesa israeliana per il disturbo da stress post – traumatico, ha sottolineato l’importanza di come nel trattamento del disturbo sia controindicata la “psicologizzazione” precoce – cioè la tendenza a formulare un’interpretazione superficiale basandola sulle proprie impressioni –  attraverso psicoterapie di gruppo e/o strategie di debriefing.

Le evidenze scientifiche sembrano invitare i clinici a non “patologizzare” il disturbo favorendo invece il ritorno alle normali attività̀ socio-lavorative del paziente. In poche parole a evitare di trattare chi soffre di PTSD come un malato o una persona incapace di intendere e di volere.

Dopo un’approfondita fase di valutazione l’intervento psicoterapeutico per il PTSD si articola in diverse fasi. Prima di tutto la definizione e la gestione dei problemi “urgenti” per il paziente – solitamente quelli che ne compromettono la funzionalità, in particolare nella vita quotidiana. In seguito, la costruzione di una relazione terapeutica sicura e collaborativa, e una fase di psicoeducazione e di stabilizzazione dei sintomi più perturbanti attraverso l’utilizzo di tecniche di gestione dei sintomi.

Le terapie psicologiche ritenute più efficaci negli ultimi anni per superare il PTSD sono: la psicoterapia cognitivo – comportamentale focalizzata sul trauma e la terapia di terza ondata.

L’approccio cognitivo – comportamentale primo approccio ha come obiettivo principale far familiarizzare il paziente con le situazioni temute in un clima di sicurezza mediante procedure di esposizione in vivo ed in immaginazione. Le esposizioni in vivo si realizzano concordando con il paziente situazioni e attività temute che possono suscitare il ricordo dell’evento, creando una gerarchia crescente delle difficoltà e portando la persona ad affrontarle l’una dopo l’altra.

All’esposizione in vivo, fa seguito quella con l’immaginazione dei ricordi al fine di aiutare la persona a ripensare a quanto è successo, alle emozioni provate ed a ristrutturare le convinzioni disfunzionali. L’esposizione ai ricordi avviene in maniera graduale consentendo al paziente, nella fase iniziale, di tenere gli occhi aperti. In seguito, si domanderà di chiuderli per rendere più vivide le immagini e di usare un tempo passato nel racconto; in ultima battuta, si chiederà di parlare al presente e di immaginare l’evento da lontano o come se fosse ambientato in un film.          

Segue poi una fase di ristrutturazione cognitiva attraverso la quale si aiuta il paziente a identificare e modificare le convinzioni disfunzionali su di sé, sugli altri e sul mondo, anche preesistenti al trauma, ma che spesso dipendono dall’influenza di quest’ultimo sulle visioni personali del paziente riguardo a temi quali senso di sicurezza, fiducia in sé, valore personale e fiducia negli altri. Si apprendono poi alcune tecniche di gestione dell’ansia, come ad esempio efficaci modalità di respirazione e rilassamento nonché individuazione di strategie di distrazione mentale.

Per quanto riguarda le terapie di terza ondata, particolarmente indicato è l’approccio della Desensibilizzazione e rielaborazione mediante movimenti oculari (EMDR, Eye Movement Desensitization and Reprocessing), che si focalizza sul ricordo delle esperienze disturbanti traumatiche, particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo, che possono aver contribuito al disturbo. Uno degli aspetti più importanti in questo tipo di terapia è l’identificazione degli eventi che sono stati “traumatici” per il paziente.

L’EMDR lavora sul ricordo di questi eventi in modo da rielaborarli e riorganizzarli nella memoria, per far sì che queste esperienze perdano l’intensa componente emotiva associata e che gli apprendimenti disfunzionali dal punto di vista cognitivo acquisiscano un significato maggiormente positivo. Ciò permette al paziente di poter utilizzare i “ricordi dolorosi” costruttivamente, trasformandoli in una risorsa.

Fra le terapie cognitive di terza ondata va inclusa anche la Terapia Metacognitiva, basata sull’assunto che il processo di elaborazione naturale del materiale traumatico venga ostacolato da specifiche modalità di processare le informazioni, le quali alterano la normale attività elaborativa delle memorie traumatiche, dei pensieri e delle emozioni intrusive.

L’intervento terapeutico è dunque mirato in questo caso a modificare i processi di pensiero quali il rimugino (la concatenazione di pensieri con valenza negativa e relativamente incontrollabili) e le strategie di attenzione focalizzata sull’accaduto che permettono una elaborazione delle memorie traumatiche. Dai primi studi di efficacia la Terapia Metacognitiva sembra essere un trattamento di breve durata per il disturbo da stress post – traumatico che produce alti tassi di riduzione della sintomatologia specifica e comporta quindi un della qualità della vita.

Infine va segnalata la Terapia Sensomotoria con la quale, attraverso la consapevolezza “sul corpo” i pazienti imparano a lavorare all’interno di uno “spazio emotivo sicuro” in modo che i modelli di attivazione emotiva siano maggiormente regolati all’interno di uno spazio di tolleranza, dove è possibile lavorare mantenendo un equilibrato funzionamento personale. Viene condiviso con i pazienti il concetto di “modulazione” in modo da implementare le capacità di transitare da stati emotivi negativi a stati emotivi positivi, utilizzando i vissuti corporei per integrarli con l’aspetto della consapevolezza.

Fonti: Manuale di Psichiatria e Psicologia Clinica 5/ed G. Invernizzi, C. Bressi Ed. McGraw-Hill Education, 2017; Seiwright et al., 2008; Greeven et al., 2009; Hedman et al., 2010; Torsello  e Dell’Erba, 2014; Atkinson & Hilgard’s, Introduzione alla psicologia, Piccin, Padova 2011.

In collaborazione con “Comunicarea”.

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