Il governo egiziano e il suo leader, al – Sisi, sono responsabili della morte e delle torture di Giulio Regeni. Ad affermarlo è la relazione finale, approvata all’unanimità dopo tre anni di lavoro, della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del ricercatore.

La questione che più ha richiamato l’attenzione della commissione è l’incoerenza tra gli eccellenti rapporti bilaterali esistenti all’epoca – essendo stata l’Italia tra i Paesi europei il partner che più si era esposto a sostegno del neo-presidente al-Sisi – e l’assoluta mancanza di collaborazione manifestatasi sul caso di Giulio Regeni da parte delle autorità cairote, come se fosse soltanto lontanamente immaginabile che un cittadino occidentale possa sparire per così tanti giorni senza lasciare alcuna traccia identificabile da parte di un regime che, nella migliore delle ipotesi, controlla serratamente la vita quotidiana in tutto il Paese ed ancor più nella capitale, per di più nei giorni vicini all’anniversario di Piazza Tahrir. Tale atteggiamento risulta politicamente inspiegabile anche perché la parte italiana aveva provveduto immediatamente ad investirne ad alto livello gli interlocutori egiziani, per cui in nessun modo il caso avrebbe potuto essere stato da loro considerato di scarsa importanza. C’è stato insomma tutto il tempo per intervenire e per salvare la vita a Giulio Regeni. La responsabilità di questa inerzia grava tutta sulla leadership egiziana“.

In alcuni quotidiani italiani si è sottolineata la responsabilità dei servizi segreti egiziani e la possibilità, presa in considerazione anche dalla Commissione, che all’epoca vi sia stata una competizione tra quello civile e militare per ottenere il favore del neo presidente al – Sisi. Ciò che è mancato è stato sottolineare l’importanza della dichiarazione precedentemente citata, dichiarazione che conferma che comunque i vertici governativi sono responsabili perché in un regime come quello egiziano, centralizzato in funzione del controllo, non si sia venuti a conoscenza dell’incarcerazione e delle torture su un cittadino straniero.

I vertici, insomma, sapevano anche perché se può essere considerata plausibile la possibilità di una competizione tra i servizi segreti, questa non esclude che abbiano avvertito i vertici. Anzi, proprio tale ipotesi rafforza l’idea che al – Sisi e il governo fossero stati a conoscenza dell’accaduto, perché in tal caso il rapimento e la detenzione di Giulio Regeni avrebbero avuto lo scopo di far guadagnare credito. Inoltre, se il regime egiziano non avesse responsabilità, perché non collaborare? Il fatto che Il Cairo abbia fatto di tutto pur di intralciare la giustizia italiana non solo rende responsabili i vertici governativi, ma rende anche plausibile pensare che siano coinvolti nell’assassinio. Non si spiega altrimenti l’atteggiamento del governo egiziano.

Le conclusioni della Commissione, inoltre, non inficiano la tesi secondo cui Regeni sia stato colpito per “educarne molti altri”. Come ha fatto notare la sua tutor di Cambrdige, Giulio si occupava di una materia scottante per il governo egiziano: i sindacati indipendenti. Il ricercatore, inoltre, non era un profilo elevato, una figura cioè istituzionale o comunque al centro delle attenzioni mediatiche, perciò era plausibile, per i servizi e il governo egiziano, che il caso sarebbe stato presto dimenticato, lasciando però al contempo – come del resto è stato – un’impronta indelebile nella mente dei ricercatori. In tal senso l’uccisione di Regeni sembra essere stata anche un chiaro messaggio: non fate ricerca in Egitto su temi delicati. Perché per un regime come quello egiziano è fondamentale ridurre le attenzioni su ciò che accade all’interno dei propri confini per rafforzare la morsa del potere.

La Commissione ha inoltre sottolineato come negli ultimi anni i governi italiani non si siano adoperati a sufficienza per ottenere giustizia e ha proposto di portare l’Egitto davanti ad un Tribunale internazionale per aver violato la convenzione ONU sulla tortura –dei conflitti di interesse, dell’inazione e delle versioni contraddittorie dei governi italiani avevamo parlato qui. Inoltre, consiglia un intervento legislativo per superare l’impasse in cui si trova al momento il processo: scrivere una legge che impedisca agli stati esteri di sottrarsi al processo con il sistema delle mancate notifiche.

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