Un anno dopo l’assalto al Congresso da parte di una folla inferocita di supporter di Trump, a Capitol Hill si sono tenute le celebrazioni per ricordare l’accaduto. Una cerimonia che è stata tenuta dai democratici, mentre molti dei repubblicani non erano presenti ai vari discorsi tenuti al Congresso con la scusante del funerale dell’ex collega della Georgia Johnny Isakson. Mitch McConnell, minority leader al Senato, ha accusato i democratici di utilizzare il 6 gennaio per scopi politici, assumendo toni più concilianti rispetto all’anno scorso quando prese le distanze da Donald Trump. Tutto questo ci offre un’istantanea di quanto ancora polarizzato sia il clima negli Stati Uniti e delle conseguenze di ciò per il resto del mondo. Nel suo discorso, infatti, Biden non ha mai fatto riferimento all’essere un “faro del mondo”, al “guideremo non solo con l’esempio del nostro potere, ma soprattutto con il potere del nostro esempio” come invece aveva fatto durante lo speech per il suo insediamento il 20 gennaio 2021.

Joe Biden è stato introdotto dalla Vice Presidente Kamala Harris che ha fatto un breve ed incisivo discorso, chiedendosi come sarà ricordato il 6 gennaio: il momento in cui abbiamo lasciato andare la democrazia, oppure il momento in cui abbiamo deciso di rafforzarla? Ed è questo uno dei temi principali del discorso anche di Biden: l’essere di fronte ad una scelta cruciale perché “siamo in una battaglia tra democrazia e autocrazia, tra le aspirazioni di molti e l’avidità di pochi”. Una minaccia allo spirito americano, come sottolinea esplicitamente Harris, con numerosi richiami – come del resto fa lo stesso Presidente – al we the people della Costituzione. Di questo popolo non fanno certo parte gli assalitori del Congresso. Riferendosi ai congressuali che non si sono fatti intimidire e che hanno continuato a fare il loro lavoro, certificando il risultato delle elezioni, Biden ha infatti affermato che hanno mantenuto la promessa di “difendere la costituzione dai nemici esterni ed interni”. Ed effettivamente anche il discorso di Harris sembra categorizzare gli assalitori, Trump e i suoi uomini come degli un – american, degli estranei allo spirito e al corpo della democrazia americana, perché non rispettano il paese e la sua costituzione, ciò su cui sono fondati. Vale a dire il rule of law e la centralità delle elezioni nel processo democratico perché è ciò con cui si esprime il volere dei cittadini, garantendo così la pacifica transizione dei poteri. È un concetto su cui è tornato più volte anche Biden che ha accusato il suo predecessore, senza mai nominarlo ma chiamandolo sempre “former president”, di essere tutto il contrario di ciò che è un buon americano, anteponendo i suoi bisogni a quelli della Nazione.

L’altro grande tema del discorso, questa volta principalmente di Joe Biden, è la minaccia, l’attacco diretto e – anche se non viene detto esplicitamente – consapevole da parte di Trump e dei suoi supporter all’America: “il volere del popolo è sotto assalto. La costituzione affronta una grave minaccia”. Una cupezza e una gravità che vengono però mitigate dalla fiducia, apparentemente incondizionata e più volte ribadita da Biden, nel “we te people, will prevail”.

Sono toni che, pur volendo essere concilianti, mostrano come per la prima volta Biden abbia deciso di usare una retorica dura per condannare l’operato di Trump. Ma testimoniano anche un clima teso, tenebroso. Ma non potrebbe essere altrimenti. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti un Presidente non ha riconosciuto la legittimità del suo successore, minacciando il pacifico trasferimento dei poteri. “Non abbiamo mai visto un ex Presidente che ha appena radunato una folla per compiere un attacco sedere nella sala da pranzo privata, fuori dall’ufficio ovale della Casa Bianca, guardare ciò che accadeva alla televisione senza fare nulla per ore. […] Questa era un’insurrezione armata. […]. Hanno cercato di negare il volere del popolo […] Non volevano salvare l’America” ha infatti sottolineato Biden in un passaggio molto duro ed esplicito sulle responsabilità di Trump.

L’attuale inquilino della Casa Bianca è consapevole che gran parte della battaglia si sta giocando su un problema che assilla un po’ tutte le democrazie: quello della verità e delle false notizie. Fin dalle prime battute del suo discorso, infatti, Biden ha sottolineato questo aspetto rimarcando la differenza tra la verità, identificandola con i valori costituzionali, e le menzogne di Trump. “Bisogna essere chiari su che cosa è una menzogna e che cosa è la verità. E la verità è che l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America ha creato e diffuso menzogne nel web riguardanti le elezioni del 2020”. Arrivati a questo punto Biden decide di dedicare un breve passaggio encomiando i (pochi) membri del Grand Old Party che si sono levati contro Trump e condannando quelli che “hanno deciso di trasformare questo partito in qualcos’altro”.

Se Harris si chiedeva come sarebbe stato ricordato il 6 gennaio, Biden domanda che “tipo di nazione vogliamo diventare rispondendo in base a ciò che gli Stati Uniti non sono (o non dovrebbero) essere: “siamo davvero un Paese che accetta la violenza politica come norma? Siamo davvero un Paese che intende permettere ad organismi di parte di rovesciare la volontà popolare espressa democraticamente alle urne?” – il riferimento è alla pratica del gerrymandering, quando il governo locale ridisegna i collegi elettorali per rendere meno accessibile il diritto di voto agli avversari. “Una nazione che non vive alla luce della verità, ma all’ombra della menzogna. Delle grandi menzogne dette dall’ex Presidente e dai repubblicani”.

Il Presidente ha quindi accusato Trump di aver messo in giro “tre grandi menzogne” su quanto accaduto. La prima riguarda la voce secondo cui la “vera insurrezione” sarebbe avvenuta il 3 novembre, nel giorno delle elezioni – qui Biden si riferisce alla teoria complottista delle “elezioni rubate”. La seconda è quindi che il risultato delle elezioni non sarebbe credibile nonostante siano state le elezioni “della storia degli Stati Uniti più soggette a scrutini o riconteggio”. La terza grande menzogna di Trump è poi quella di aver dipinto i suoi supporter che hanno compiuto l’assalto come “veri patrioti”. La ragione di questo modo di agire, sostiene Biden, è dovuta al fatto che Trump e i suoi uomini pensano che l’unico modo di vincere sia ridurre il diritto di voto o sovvertirlo. E difatti, aggiunge, Trump avrebbe costruito le sue menzogne per mesi – come è effettivamente accaduto e come la commissione sul 6 gennaio sta dimostrando, portando alla luce le responsabilità di Trump e del suo staff – e quando ha perso “non ha mai spiegato” perché le elezioni con cui lui ha vinto nel 2016 fossero invece da ritenersi valide.

Avviandosi verso le conclusioni Biden si è riavvicinato al patriottismonon puoi amare il tuo paese solo quando vinci. Non sei patriottico se abbracci la menzogna”, ribadendo l’eccezionalità degli Stati Uniti: là dove molti sostengono che sarebbe necessaria una figura con maggior potere, come in Cina e Russia, per far fronte alla velocità del mondo moderno noi dimostriamo che non è così. Perché l’America è un’ideale che richiede vigilanza, un’idea verso cui tendere. È un passaggio delicato. Il passaggio da United States ad America nella retorica americana riguarda infatti un singolo e preciso riferimento patriottico che acquista una proiezione mitica, di sogno, di progetto di vita. E difatti qui Biden si richiama ad una geremiade: misura la distanza che separa l’America dalle sua aspirazioni, non senza tralasciare le colpe, per ricongiungerla con le sue premessecome del resto aveva fatto anche in campagna elettorale. Lo fa con una forte dose di ottimismo, di fiducia nel destino manifesto degli Stati Uniti: “Siamo in una battaglia per l’anima dell’America […] e vinceremo”. I toni, lo si sarà notato in precedenza e anche in questa citazione, sono quelli di una chiamata alle armi, di una guerra per l’anima del paese, per la sua essenza. Ma da questa battaglia, “dai giorni più bui” – e qui Biden si ricollega alla storia, citando peraltro Pearl Harbor e la guerra contro il fascismo – avremo “la rinascita”.

Biden ha detto cose che mai erano state dette da un presidente al suo predecessore. Ma il contesto è senza precedenti. Cambierà le cose oppure, come si domanda Arnaldo Testi, il discorso servirà a certificare la polarizzazione e la crisi esistente? Un’ombra avvolge questa domanda: la speranza risiede in un cambio di paradigma presidenziale che, però, può avvenire solamente se i democratici troveranno la forza di mettere da parte le loro divisioni. E se i repubblicani riusciranno a prendere le distanze da Trump. Oppure se, come auspicato da un recente e preoccupato editoriale del New York Times, democratici e repubblicani non trumpiani troveranno il coraggio di creare un’ampia coalizione che isoli l’ex presidente e che metta fine al rischio di una deriva autoritaria nella democrazia statunitense che, nonostante tutto, mostra forza di resilienza.

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