La guerra in Ucraina pone diversi inquietanti interrogativi. È un conflitto in Europa e riguarda un paese, la Russia, che è tra le principali potenze nucleari, alla cui guida è un autocrate, Vladimir Putin, di cui ben pochi oggi si fidano. Un conflitto, infine, che minaccia di coinvolgere i paesi NATO, con la prospettiva di una guerra che si allarga e assume proporzioni globali.
Il protrarsi del conflitto comporta, per forza di cose, maggiori possibilità che la guerra, effettivamente, diventi più ampia per errori, difficoltà nel trovare compromessi, fraintendimenti. Ma la storia è misura dell’inatteso e ogni scenario sul futuro deve usare il condizionale. In base a queste premesse possono essere fatte delle considerazioni sulla possibilità che la guerra non diventi globale, ma rimanga un conflitto locale con implicazioni di ridefinizione macro regionali e, dunque, globali – qui trovate le altre prospettive.
In Ucraina il conflitto è ormai stagnante per le forze russe, una guerriglia per le forze ucraine. Ne avevamo scritto tempo fa: una sorta di “sirizzazione”, cioè una guerra che si protrae nel tempo, con un altissimo costo per i civili – perché è ormai, innanzitutto, una guerra ai civili – che riguarda questioni macro regionali. Anche se non dobbiamo assolutamente trascurare che tra le ragioni principali dell’invasione vi sono spirali e motivazioni interne alla Russia che dal 2004 ha perseguito una politica interna, sotto la guida di Putin, sempre più nazionalistica e sciovinistica, unita ad una politica di riarmo e a interventi militari all’estero sia tramite l’esercito russo, sia tramite il gruppo Wagner e le reti economico – diplomatiche in Africa. Ciò che la Russia ha sbagliato, nelle sue considerazioni che hanno preceduto l’invasione, è stata la convinzione di una veloce capitolazione dell’Ucraina, dimostrata con l’apertura di più fronti difficili da gestire e rifornire sul lungo periodo, e di una divisione del fronte euro – atlantico che non c’è stata anche per un successo del presidente Joe Biden che ha condiviso le informazioni d’intelligence con gli alleati.
La guerra, al momento, riguarda soprattutto l’Europa e, in seconda battuta, il nord Africa e il mondo arabo, dove le ricadute delle difficoltà di approvvigionamento di grano e altri generi primari alimentari rischiano di creare non pochi problemi; al contempo, la diversificazione delle fonti d’approvvigionamento del gas da parte dell’Europa porta direttamente all’Algeria e agli Stati della penisola arabica. Per quanto la Russia sia al centro di azioni neocoloniali in Africa e di una rete di alleanze che si è vista con le astensioni al voto di condanna in seno al consiglio all’ONU sull’invasione, essa non è comunque tale da garantire un sostegno decisivo in caso di conflitto globale. Conflitto che potrebbe essere nucleare, provocando oltre 90 milioni di morti nelle sue prime ore, secondo una simulazione dell’Università di Princeton. Conflitto nucleare che appare poco probabile proprio per la sua natura apocalittica. Più probabile potrebbe essere un uso strategico, chirurgico, dell’arma atomica come suggerito del resto dalla dottrina nucleare della Russia, implementata dalla Federazione alla fine degli anni Novanta sotto la supervisione di Putin, allora presidente del Consiglio di sicurezza russo. Tale strategia, similmente ad altre sviluppate negli anni della Guerra Fredda, prevede il dispiegamento di armi nucleari al fine di costringere l’avversario ad accettare determinate condizioni, purché tale minaccia o tale uso dissuada gli alleati del paese attaccato, come gli Stati Uniti, dal rispondere. Ipotesi che, comunque, farebbe infuriare la Cina e che comporta un elevatissimo rischio di perdita di consensi per Putin e una risposta ancora più dura da parte del fronte euro – atlantico (e probabilmente non solo).
All’interno della Federazione Russa non sembra esserci un consenso ampio intorno al regime tale da garantirgli il sostegno necessario ad una guerra che, nel suo portato globale, non potrebbe non essere di lungo periodo. Numerose sono le testimonianze di proteste e condanne da parte della popolazione russa, inoltre le sanzioni infastidiscono gli interessi economici degli oligarchi. Chi non sembra essere scalfito, ma potrebbe galvanizzarsi di fronte all’inasprirsi del conflitto per ragioni nazionalistiche e ideologiche, è la cerchia ristretta di Putin: i siloviki, uomini che vengono dai ranghi del KGB o dell’esercito sovietico. Il rischio del default unito alle sanzioni che colpiscono gli oligarchi, comunque, rappresentano una minaccia alla stabilità del regime. Regime che comunque appare già in difficoltà perché deve giustificare il sacrificio di molti giovani. Del resto la legge che punisce con quindici anni di carcere chiunque diffonda notizie non ufficiali sul conflitto conferma questa ipotesi.
C’e poi Pechino che rappresenta uno snodo fondamentale. La Cina si è sempre schierata in favore dell’integrità territoriale – anche per convenienza, potendo così rivendicare Taiwan come parte del proprio territorio, giustificando così una possibile invasione come del resto ha fatto Putin quando ha sostenuto che l’Ucraina non fosse un paese, ma parte della Russia. Ci sono diversi motivi per cui la Cina potrebbe non gradire il conflitto o comunque opporsi ad esso per ragioni di medio periodo. Innanzitutto se il conflitto dovesse toccare gli investimenti cinesi della Nuova Via della Seta in Europa e nel Mediterraneo scatterebbe, probabilmente, l’azione del governo. Gli interessi economici e commerciali che la Cina ha con l’Europa (e gli Stati Uniti), infatti, sono maggiori rispetto a quelli che ha con la Russia. Quest’ultimo paese ha un’economia debole, in declino strutturale, nonostante sia ancora una potenza militare. L’integrazione della Cina nell’economia globale, inoltre, potrebbe portare molte banche e aziende cinesi a diminuire i legami economici con la Russia per evitare danni di immagine e marginalizzazioni. Pertanto più Mosca rimane isolata nel contesto economico – finanziario internazionale più diventerà un peso anche per la Cina, che non potrebbe sostenerla da sola. Cina che, in questo modo, guadagnerebbe d’immagine e d’influenza dipingendosi come una potenza non minacciosa nonostante la regione di cui fa parte la Cina, l’Asia – Pacifico, sia effettivamente un’area a forte rischio di conflitto tra tensioni, nazionalismi e faglie religiose, nonché alcuni paesi dotati dell’arma nucleare.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.