Estremamente criticato in patria e all’estero con la guerra in Ucraina i tassi di approvazione di Joe Biden sono tornati a crescere. Anche perché, effettivamente, il presidente degli Stati Uniti sembra si stia muovendo bene nello scacchiere internazionale. Che sia il segnale di una rinnovata confidenza di Washington con il suo ruolo di faro del mondo? E che quindi Biden abbia trovato il modo di rivitalizzare, rinforzare e infondere nuova fiducia negli Stati Uniti dopo la sfiducia generata dalla presidenza di Donald Trump?

Coerentemente con le sue promesse in campagna elettorale e con i suoi trascorsi politici – nei suoi lunghi anni da senatore Biden si è occupato soprattutto di esteri – l’attuale inquilino della Casa Bianca sta promuovendo azioni diplomatiche e il dialogo con vari attori, alcuni fino ad ora considerati dei nemici con cui sarebbe stato impossibile parlare – si pensi all’Iran, l’amministrazione Biden sta pensando di rimuovere il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dall’elenco delle organizzazioni terroristiche  – coniugando queste aperture con la ferma condanna dell’operato di Vladimir Putin, richiamandosi all’idealismo e alla difesa dei diritti umani – anche se con qualche gaffe. Del resto anche la risposta coordinata e unita del fronte euro – atlantico all’invasione dell’Ucraina è un successo politico e diplomatico di Joe Biden che a lungo ha messo in guardia gli alleati – e non solo, sembra che le informazioni siano state condivise anche con la Cina, che avrebbe però ritenuto quello di Putin un bluffcon cui ha condiviso informazioni d’intelligence. Esse si sono rivelate fondate – e già questo è un nuovo successo, perché pone nuova fiducia nei servizi statunitensi dopo anni di sfiducie – e la loro condivisione, non scontata, ha contribuito non solo a creare un clima di fiducia, ma ad organizzare una risposta unitaria e forte evitando così di trovarsi impreparati al momento dell’invasione. Un messaggio, questo, anche nei confronti delle possibili intenzioni malevoli della Cina su Taiwan: in caso di invasione la risposta sarà coesa e decisa. Un successo anche perché la diplomazia si basa sulla fiducia e sulla capacità dei governanti di creare e/o mantenere relazioni con gli omologhi stranieri: obiettivo raggiunto per Biden che, in tal senso, ereditava un disastro lasciato da Trump. Un’inversione di rotta, sotto questo punto di vista, rispetto al predecessore dell’America First e della necessità per gli Stati Uniti di agire in solitaria smantellando gli organismi, i trattati e le consuetudini che regolavano i rapporti con gli alleati. Ma anche un’inversione di tendenza e un successo rispetto al discusso ritiro dall’Afghanistan e alla vicenda dei sottomarini a propulsione nucleare forniti all’Australia.

Il vertice di Roma del 15 marzo tra Stati Uniti e Cina, così come la telefonata di oggi tra Biden e Xi Jinping, sono un’ulteriore conferma che Biden vuole mantenere il dialogo aperto e di costruire legami e fiducia. Un obiettivo dell’incontro era anche guardare al contesto globale: evitare divisioni in blocchi e aiuti della Cina alla Russia, ma anche parlare con Pechino di Taiwan e della Corea del Nord. Soprattutto dimostra che Biden vuole sì contenere la Cina ricorrendo anche alla durezza delle parole e alla fermezza diplomatica se necessario, ma mantenendo i canali diplomatici aperti. Dimostra, infine, che gli Stati Uniti rimangono la potenza principale verso cui si guarda o verso cui ci si appella: lo fa il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, lo fa la Cina, lo ha fatto Putin all’inizio del conflitto riferendosi a un dialogo con Washington per la risoluzione della guerra. Conflitto che ha ragioni europee –non solo, ovviamente – e lo dimostra il fatto che sia proprio la diplomazia del vecchio continente a muoversi e ad impegnarsi a fondo nella risoluzione della crisi. E in questo si segnalano due cose: la prima è che l’Unione Europea si sta dimostrando, a differenza del passato, un’entità proattiva, il che potrebbe essere il segnale di un punto di svolta a favore di una maggiore integrazione; la seconda che Biden è anche qui coerente con le sue premesse elettorali, cioè che gli Stati Uniti devono delegare maggiormente agli alleati non tanto perché non possono più essere il poliziotto del mondo, ma perché Washington avverte la necessità di dedicarsi all’Asia Pacifico dove non solo passa la maggior parte del commercio globale, ma dove gli equilibri tra Cina e Stati Uniti sono più sentiti, complice anche un contesto che è una polveriera per rivendicazioni nazionalistiche, questioni religiose, etniche e storiche.

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