Se Vladimir Putin non esclude l’utilizzo dell’atomica, anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden non esclude di ricorrervi in casi di assoluta gravità. Detto in altri termini: se la Russia dovesse usare delle armi tattiche nucleari Washington e la NATO si riserverebbero il diritto di rispondere con le medesime armi. La risposta di Biden non è un’escalation, ma fa parte della logica della deterrenza nucleare, secondo cui il mantenimento del bilanciamento su questo fronte e la disponibilità da entrambe le parti a ricorrere all’arma atomica dovrebbe ridurre la possibilità che vi si ricorra.

Lo stesso lo si potrebbe dire riguardo la linea rossa tracciata dal segretario della NATO Jens Stoltenberg e Biden sulle armi chimiche: in caso di utilizzo da parte di Mosca sembra siano previste delle risposte. Si tratta di un’escalation? Sì, perché l’uso di armi chimiche, considerato un crimine di guerra, è già di per se un’escalation. Si potrebbe rispondere in maniera diversa? È difficile. Diciamo che attacchi mirati, di “rappresaglia”, fanno parte del linguaggio diplomatico in casi come questi: non rispondere, quindi, sarebbe peggio perché manderebbe un messaggio di debolezza alla Russia. Mosca potrebbe rispondere a sua volta, ma a quel punto sapremo che quel che cerca e ha sempre cercato è uno scontro aperto con la NATO. Chiaramente oltre all’opzione militare sono previste anche altre tipologie di risposta (maggiori sanzioni, inasprimenti diplomatici e via dicendo) che possono essere usate.

L’elemento centrale, comunque, dell’offensiva diplomatica di Stati Uniti ed Europa riguarda la consapevolezza del fatto che per contrastare Putin è necessario, a livello diplomatico, creare un ambiente internazionale sfavorevole a Mosca. Per farlo è necessario allontanare la Cina dal Cremlino, ma anche altri possibili alleati, come l’India o l’Iran in Medio Oriente – quest’ultimo potrebbe avere ricadute notevoli nella regione vista l’influenza di questo paese e ciò spiega i nuovi tentativi di dialogo con Washington. In altre parole, la Russia va isolata diplomaticamente, così che riceva pochi o nessun tipo di aiuto. Per ottenere ciò è necessario che l’azione diplomatica si rivolga anche all’Africa che, come sappiamo, è stato in questi anni un continente dove Mosca ha allargato considerevolmente la propria sfera di influenza. Ciò è necessario per “rubare” voti all’ONU favorevoli alla Russia, ma soprattutto perché Mosca ha acquisito un notevole controllo sullo Sahel, il che gli garantisce una notevole leva negoziale nei confronti dell’Europa perché il Cremlino ha la capacità di influenzare parte dei flussi migratori –  questa regione, inoltre, è fondamentale nella lotta allo jihadismo. A questa azione deve necessariamente accompagnarsi un messaggio di fermezza e durezza da parte delle cancellerie euro-atlantiche, che dimostri, come fatto fino ad ora, che il fronte è unito e compatto, ma anche pronto a rispondere se necessario. La credibilità dell’isolamento internazionale, volto a provocare un cambiamento nella”minacciosità” del Cremlino, lo si ottiene infatti ricorrendo alla dissuasione che, per essere credibile, comporta il “far vedere i muscoli”.  Può sembrare paradossale che sia questa una strategia per ridurre la tensione e riportare Mosca sui suoi passi, ma è una delle vie che talvolta può prendere la diplomazia, soprattutto in situazioni come questa.

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