Le elezioni presidenziali francesi sono ormai alle porte. Gli occhi sono puntati su Emmanuel Macron: è risalito nei sondaggi anche grazie alla sua azione diplomatica portata avanti nel conflitto in Ucraina. Se l’attuale inquilino dell’Eliseo venisse rieletto romperebbe una sorta di tabù: nella storia della Quinta Repubblica, eccezion fatta per il suo “fondatore” Charles de Gaulle, solamente François Mitterrand e Jacques Chirac sono riusciti ad ottenere un secondo mandato.

In vista di questo importante appuntamento L’Eclettico vi offre una piccola guida, ripercorrendo alcune delle tappe principali della presidenza Macron.

Come funzionano le elezioni del Presidente della Repubblica

La Francia è una Repubblica semi-presidenziale. Presidente della Repubblica e primo ministro, nominato dal presidente sulla base del risultato elettorale, condividono il potere esecutivo.

Il presidente della Repubblica viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno. Esiste la possibilità che il presidente venga eletto al primo turno nel caso in cui ottenga la maggioranza assoluta dei voti, un evento che con molta difficoltà può presentarsi. Solitamente, quindi, i due candidati con il maggior numero di preferenze vanno al ballottaggio (secondo turno) in cui risulta eletto chi ottiene più voti. Questo sistema è necessario per assicurare la maggioranza assoluta,quindi un’ampia legittimazione, al presidente eletto.       

Il voto per il Parlamento della Repubblica è separato da quello presidenziale e, pertanto, risulta possibile la coabitazione come nel caso di Mitterand nel 1988, anche se dopo la riforma del 2002, volta ad armonizzare le durate del mandato presidenziale e della legislatura portando entrambe a cinque anni, questa eventualità è più rara. L’ultima coabitazione della V Repubblica, infatti, è avvenuta tra nel quinquennio 1997 – 2002 tra il presidente neogollista Jacques Chirac e il primo ministro socialista Lionel Jospin.

Elezione del Parlamento

Il Parlamento francese si divide in Assemblea Nazionale, il ramo più importante perché giudica l’operato governativo, e Senato. Il primo prevede un sistema di voto maggioritario a doppio turno: vi sono 577 seggi distribuiti in altrettanti collegi uninominali; per essere eletto un candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti nel proprio collegio e un quarto dei voti degli aventi diritto. Se ciò non avviene i candidati che al primo turno hanno ottenuto almeno il 12,5% vanno al ballottaggio.

Il Senato, invece, viene eletto indirettamente a livello locale e ogni tre anni ne viene rinnovata una metà. Vi sono dodici senatori in rappresentanza dei francesi residenti all’estero, scelti dai centocinquantacinque membri dell’Assemblea dei francesi all’estero. I rimanenti senatori sono eletti da un collegio su base dipartimentale. Questo sistema elettorale è spesso criticato perché si ritiene che privilegi le zone rurali, che sarebbero sovrarappresentate.

Macron parte veramente svantaggiato?

La risposta è no, anche se guardiamo ai dati. A giugno 2021, ad esempio, si svolsero le elezioni regionali in Francia, caratterizzate dall’elevato astensionismo (più del 65%) e dalla sonora sconfitta del Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen.  Un primo punto su cui interrogarsi è la scarsa partecipazione al voto: non dovrebbe registrarsi anche alla presidenziali perché generalmente i francesi tendono ad essere più partecipativi in queste elezioni, ritenendole con un’incidenza maggiore sulla loro vita. Guardando sempre ai risultati delle regionali il partito di Macron, En Marche!, non andò benissimo, anzi venne considerato tra gli sconfitti. Ciononostante nello stesso periodo l’attuale inquilino dell’Eliseo veniva dato in crescita tra i sondaggi. Ciò si spiega con il fatto che Macron non si identifica con le logiche tradizionali secondo cui per vincere alle presidenziali sarebbe necessario governare e radicarsi nel territorio. Bisogna poi considerare un ulteriore fattore, cioè l’abilità del leader di En Marche! nello sfruttare contesti in cui gli avversari sono divisi, se non a creare egli stesso delle divisioni – e per questo era stata ipotizzata anche la creazione di un partito a sostegno di Macron, accogliendo esponenti di centro destra e centro sinistra. La destra francese presenta tre candidati: Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse. I primi due candidati appartengono all’estrema destra, Pécresse è esponente dei Les Républicains, partito fondato nel 2015 da Nicolas Sarkozy, e pertanto dovrebbe essere tra i moderati. La sua campagna elettorale si è invece contraddistinta per i toni accesi con molte strizzate d’occhio alle istanze dell’estrema destra: segno che nella droit si ritiene che la strategia elettorale migliore per vincere sia spostarsi su posizioni più radicali – cosa che, effettivamente, anche Emmanuel Macron ha in parte fatto. Si tratta, comunque, di un panorama diviso, il che favorisce l’attuale inquilino dell’Eliseo i cui concorrenti principali sono considerati proprio gli esponenti di destra – i candidati di sinistra e centro sinistra hanno percentuali nei sondaggi più basse.

Guardiamo adesso ad altri dati, quelli delle elezioni europee del maggio 2019. Anzi, facciamo prima un piccolo passo indietro, alle europee del 2014: in questa occasione il Front National (si chiamava ancora così), il partito di Le Pen arrivava per la prima volta nella sua storia in testa ad una competizione elettorale, con il 24,68% dei voti. Un risultato che lo rese anche il primo partito in Francia. Tornando alle europee del 2019, il partito di Le Pen ottenne il 23,53% delle preferenze, un risultato peggiore rispetto al 2014, ma in lieve miglioramento rispetto al primo turno furono delle presidenziali del 2017, quando ottenne il 21,30%. In quest’ultima tornata elettorale En Marche! ottenne il 24,01%. Il partito di Macron alle europee del 2019 ottenne invece il 22,47%: circa un punto percentuale sotto il partito di Le Pen e tutto sommato un buon risultato per un presidente che usciva dalla crisi dei gilet gialli. È lecito quindi presumere che una rielezione di Macron sia molto probabile.

Proteste

Nel corso della sua presidenza Macron ha dovuto affrontare diversi movimenti di protesta. Già nel 2018 gli studenti di medie e università scendevano in piazza e occupavano le aule per protestare contro una controversa riforma dell’Universitàve ne abbiamo parlato in questo reportage. Spesso, assieme a loro, erano anche i ferrovieri che si opponevano ad una riforma del loro statuto. Ci sono, effettivamente, alcune difficoltà nell’accesso all’istruzione, nonostante il sistema francese abbia un sistema di welfare tra i migliori in Europa. Ciononostante gravi sperequazioni tra i redditi che impediscono o rendono difficile l’accesso all’istruzione sono presenti e nel novembre 2019 portarono un giovane studente di Lione a darsi fuoco in segno di protesta.

Nel 2018 scoppiò il movimento dei gilet jaunes, espressione del malcontento delle periferie rispetto alla centralizzazione delle risorse nelle grandi città – e non solo: ne avevamo parlato qui.

Proteste recenti hanno riguardato anche le periferie della Francia, i territori d’oltre mare, e luoghi apparentemente periferici come la Corsica. Nel primo caso sono da segnalare le manifestazioni che hanno tenuto in scacco per diversi giorni l’isola di Guadalupa; nel secondo le proteste in seguito al pestaggio in carcere, da parte di un altro detenuto, del leader indipendentista corso Yvan Colonna.

Violenza politica

Secondo una ricerca pubblicata dalla casa editrice di ScincesPo, l’Istituto di studi politici di Parigi, dal 1986 ad oggi in Francia si registrerebbero circa seimila episodi di violenza politica di varia natura: ideologica, indipendentista, religiosa, sociale. La violenza politica è un tema ampiamente dibattuto in Francia perché, effettivamente, la si è vista crescere negli anni. Una violenza che non ha solo matrici politiche, ma che ha troppo spesso connotazioni di genere o antisemite, come nel caso di Mirelle Knoll, un’anziana signora di origine ebraica bruciata viva da degli estremisti di destra il 28 marzo 2018 a Parigi.

Negli anni recenti fenomeni di violenza politica si sono registrati sia tra le file di destra che di sinistra, in una spirale alimentata anche dalla risposta governativa che ha rafforzato la militarizzazione della polizia. Nel giugno del 2021 Macron è stato schiaffeggiato mentre si trovava  a Tain-l’Hermitage (Drôme). Tre anni prima, nel dicembre del 2018 il deputato de La France Insoumise, partito di sinistra, François Ruffin, autodefinitosi portavoce dei gilet gialli, ha sostenuto che Macron avrebbe fatto «la fine di Kennedy». Mentre nel giugno del 2021 un’affermazione di Jean – Luc Mélenchon, leader dello stesso partito di Ruffin, ha creato un’ondata di indignazione per il suo carattere complottista. Durante un’intervista Mélenchon ha infatti sostenuto che «nell’ultima settimana della campagna presidenziale avremo un grave incidente. Già c’è stato un omicidio [riferendosi alle precedenti presidenziali], c’è stato Mohammed Merah nel 2012, l’attentato agli Champs –  Élysées […] è stato tutto scritto in anticipo». Nel giugno del 2021 lo youtuber di estrema destra Papacito ha postato un video in cui metteva in scena l’esecuzione di un manichino raffigurante un militante di sinistra. Più recentemente, sabato 26 marzo, durante un’intervista televisiva rilasciata da Marine Le Pen nella Guadalupa, la leader del Rassemblement National è stata spintonata e le è stato strappato il microfono mentre circa quaranta indipendentisti facevano irruzione nel luogo dove si stava svolgendo l’intervista. Ma a preoccupare è soprattutto il candidato di estrema destra Éric Zemmour. Durante un comizio al Trocadéro di Parigi tenutosi domenica 27 marzo i suoi supporter hanno scandito a lungo «Macron assassino» senza che il candidato alla presidenza facesse nulla per calmarli. Zemmour, noto per le sue posizioni misogine, omofobe, antisemite e razziste, preoccupa perché si è fatto portavoce di un ampio movimento di estrema destra scontento della gestione di Le Pen del partito, giudicata troppo moderata, e che fino ad ora non aveva un leader preciso. Movimento che nel tempo ha manifestato spesso la sua carica eversiva e violenta: a dicembre 2021 alcuni sostenitori di Zemmour hanno picchiato dei manifestanti non violenti durante un comizio del candidato a Villepinte; durante un incontro pubblico a Tolone un elettore ha fatto il saluto nazista davanti ad una telecamera. In entrambi i casi Zemmour non ha espresso una netta condanna. Del resto quando Macron è stato schiaffeggiato lo scorso giugno, il candidato di estrema destra ha dichiarato che il presidente della Repubblica avrebbe «ottenuto solo ciò che si merita».

Polizia

La gestione delle proteste e dei gilet gialli ha fatto molto discutere in Francia anche per la presenza di una polizia militarizzata e, spesso, razzista. Ciononostante il governo francese ha proceduto con l’approvazione della Loi de sécurité globale che ha, di fatto, aumentato la discrezionalità e i poteri della polizia.

Difesa

Un grave incidente ad aprile 2021 ha riguardato una lettera in cui alcuni militari hanno minacciato un colpo di Stato. Oltre a ciò va segnalato l’abbandono della missione Barkhane in Mali, mentre contemporaneamente veniva lanciata la missione Takuba, a guida francese e in coalizione con molti paesi europei. Operazioni che, tra gennaio e febbraio, sono state entrambe dislocate in Niger a seguito dell’inasprirsi delle tensioni tra i vertici del governo maliano e Parigi dovute all’estrema vicinanza alla Russia dei primi.

Rapporti con l’Italia

Nonostante i rapporti siano ora buoni, all’epoca del governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte si verificò una delle più gravi crisi diplomatiche tra Francia e Italia, dopo che una delegazione di esponenti del Movimento Cinque stelle guidati dall’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio si recò a Parigi per dialogare con uno dei leader gilet gialli Christophe Chalençon (una candidatura nel 2017 con il partito di destra Génération Citoyens, islamofobo ed antisemita, teorico della violenza e dell’intervento dei militari). In seguito a questa crisi la collocazione italiana nello scacchiere internazionale subì un brutto colpo, con danni agli investimenti e alla credibilità della diplomazia.

Covid – 19

A dicembre 2020 a causa del coronavirus è morto, all’età di 94 anni, l’ex Presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing. Nello stesso mese anche Emmanuel Macron risultava positivo al virus.

Parigi

Non possiamo non ricordare il terribile incendio che ha distrutto parte della cattedrale di Notre – Dame de Paris nell’aprile 2019. Per tirarci su di morale e alleggerire un po’ vi proponiamo il racconto del risveglio di un angolo di Parigi.

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