Dall’invasione russa dell’Ucraina sentiamo spesso dire che “ma anche noi abbiamo delle colpe”, “anche noi però…”, “se gli Stati Uniti non avessero…”. Riferimenti cui si è richiamato anche il Ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, rispondendo all’affermazione di Joe Biden secondo cui l’inquilino del Cremlino Vladimir Putin andrebbe processato per crimini di guerra: “si cominci dalla Jugoslavia e dall’Iraq” ha affermato.

Se è pur vero che anche “noi” abbiamo delle colpe sulle guerre è anche vero che:

  1. questo “noi” non include tutti noi. Banalmente, chi scrive ad esempio era un bambino che non aveva voce in capitolo negli anni Novanta e nel 2001.
  2. Errori del passato non implicano l’impossibilità di fare ammenda e criticare il tempo presente, tanto più che stiamo parlando di contesti differenti e questo non implica essere partigiani degli Stati Uniti e non riconoscere, là dove vi siano, delle precondizioni.
  3. Anche perché questo rischia di sottostimare le responsabilità e le cause endogene alla Russia perché, per l’appunto, ogni cosa ha le sue specificità e le sue precondizioni.

E difatti l’invasione ad opera di Mosca si lega a diversi fattori. Al nazionalismo russo che vede nell’Ucraina il nucleo della rus storica. Ad una retorica governativa e a una politica del Cremlino che in questi decenni si è richiamata più volte al nazionalismo e alla ricostruzione di una grande Russia dopo “la più grande catastrofe geopolitica”, come disse Putin, i cui effetti li abbiamo visti in Cecenia, Georgia e via dicendo fino ad arrivare alla Siria, alla Libia, al Mali dove Mosca interviene anche per ristabilire la vecchia sfera di influenza sovietica. Sappiamo che questa è la visione dei siloviki, la cerchia di Putin, e del capo del Cremlino. Un’ideologia che vede le relazioni internazionali e lo Stato in maniera hegeliana per cui lo Stato non conosce limiti al suo agire, non opera seguendo leggi o principi morali, ma solamente la sua realizzazione in quanto esso è espressione dello Spirito assoluto, della Storia. In questa visione la guerra è il momento essenziale della realizzazione dello Stato/Spirito in quanto momento dialettico. La guerra, essendo essenziale, è anche assolutamente razionale e necessaria: il modo in cui lo spirito del popolo si manifesta. Putin, del resto, è figlio dell’educazione militarista e maschilista sovietica – un tipo di educazione in continuità con la Russia di oggi. Esemplificativo di questa visione è un editoriale diffuso il 4 aprile di RIA Novosti, il principale organo di stampa del Cremlino. Nell’editoriale “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina” si spiega che l’Ucraina è ormai nazificata a tal punto che persino la popolazione è complice. Pertanto è necessaria una guerra di colonizzazione cui seguirà un’occupazione di almeno venticinque anni in cui gli ucraini dovranno essere rieducati. L’Ucraina, del resto, non può esistere senza essere nazista. Di fatto la nuova linea del Cremlino è questa. Ma c’è dell’altro: nell’asserire che tutto il popolo ucraino è colpevole essendo intrinsecamente nazista la “punizione” (il massacro, come a Bucha) è giustificata. Anche perché gli ucraini non sono più persone: sono deumanizzati, enti estranei alla Nazione russa, un virus da estirpare. Il riferimento sottointeso è il genocidio. Dall’altro lato, che la Russia sia dalla parte giusta della storia in quanto massima incarnazione del volere popolare che può costringere, anzi deve costringere per il bene degli ucraini ad essere denazificati. Che è ciò su cui si basano i regimi autoritari e ciò con cui giustificano le violenze di massa: se non vuoi capire sei un alieno e, pertanto, devi essere eliminato. Da notare che la denazificazione viene fatta coincidere con i valori incarnati dall’Unione Europea, il che non è casuale: è un appello a tutti i movimenti anti europeisti presenti in Europa, un endorsement a Orban non casuale nel giorno della vittoria nelle elezioni.

Nella dottrina e nella visione della difesa europea e statunitense ci sono molti punti su cui possiamo discutere. Ma ci sono differenze fondamentali rispetto alla dottrina russa. Tra queste, in Europa o negli USA l’esercito non viene visto come strumento dialettico in maniera hegeliana, né si hanno considerazioni come quella di RIA Novosti. Soprattutto l’esercito sottostà al controllo civile: in Russia le forze armate rispondono al Cremlino, non ai cittadini. Una differenza fondamentale perché in Europa e negli Stati Uniti là dove vi sono casi di abusi violenti da parte dei militari vengono aperte delle inchieste e vi è una condanna, perlomeno da una parte della popolazione. Infine non vi è un’ideologia militarista – anzi, in un paese come l’Italia vi è una conflittualità sul ruolo e la legittimità dell’esercito – come quella russa.

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