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Prologo:

Sin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il Cremlino ha sostenuto una vasta campagna di disinformazione. Una strategia che abbiamo già visto in passato nei tentativi di influenzare le elezioni, come negli Stati Uniti nel 2016, con i finanziamenti ai movimenti antisistema e con la diffusione di false notizie sui social sfruttando una schiera di professionisti. Neanche di fronte al massacro di Bucha questo uso strumentale dell’informazione, che si basa sul verosimile, si è fermato perché i vertici russi hanno affermato che sarebbe tutta una messa in scena occidentale. E del resto Carlo Freccero, giornalista ed ex direttore di Rai 2, alla commissione Dupree ha sostenuto la tesi secondo cui i bombardamenti dell’ospedale pediatrico di Mariupol sarebbero “una fiction”.

Con la guerra in Ucraina vi è stata una parziale riconversione delle teorie del complotto dalla pandemia alla guerra. In questi anni abbiamo visto l’abilità della Russia nella diffusione di false notizie che poi rimbalzano e vengono fatte proprie dai complottisti dei vari paesi – chi segue gli USA conosce il giornalista di Fox News Tucker Carlson, noto per le sue posizioni estremiste e complottiste. Sin dall’invasione Putin ha sfruttato queste teorie legandole, come spesso succede, all’antisemitismo, all’omofobia e alla misoginia. Un esempio di falsa notizia fu il caso della madre incinta dell’ospedale di Mariupol, un’immagine cui ha fatto riferimento anche Freccero come si è visto. Prima ancora sostenere che in Ucraina vi fossero nazisti e drogati. Successivamente Hillary Clinton è stata inserita nella lista delle sanzioni russe, senza motivo visto che non ha più incarichi. O meglio: un motivo vi era e riguardava il fatto che nell’ambiente complottista vicino a Trump Clinton viene considerata tra i vertici di una setta di pedofili satanisti ed ebrei che vorrebbe controllare il mondo – forse vi ricordate quando in campagna elettorale Trump postò la foto di Clinton con la stella di Davide? Che vi sia un pericoloso legame tra disinformazione e antisemitismo è stato reso evidente, tra i tanti esempi che possono essere fatti, quando il Ministro degli esteri Sergej Lavrov, ospite di Rete 4, ha affermato che “secondo lui” sarebbero gli ebrei stessi i maggiori antisemiti, sostenendo che Hitler avesse origini ebraiche. Una falsa notizia che riprende i Protocolli dei Savi di Sion e ci dice quanto pericoloso sia il nesso tra la propaganda russa e gli ambienti antisemiti.

Le democrazie dell’area euro – atlantica presentano delle complicazioni sia di lungo periodo, ed ad esempio l’astensionismo, sia quasi strutturali, come le condizioni di accesso alla partecipazione della vita del paese, infine alcuni problemi di lunga data ma che assumono, sia qualitativamente che quantitativamente, proporzioni, forme e dinamiche diverse per la presenza dei social. Non da ultimo, la tendenza che talvolta si riscontra di ritenere il sistema elettorale come lo strumento di espressione della volontà popolare, un’idea fondata sulla convinzione che il popolo sia l’unità fondatrice della Nazione e che in essa risolva le proprie contraddizioni e tensioni – un sistema che, in ultima analisi, da per «storicamente certa» l’esistenza del popolo e della Nazione e che non li considera quindi come prodotti storici.

Il web è uno strumento relativamente nuovo, che solo recentemente è arrivato ad una quantità rilevante di persone, e che pertanto difetta ancora di una legislazione adeguata. L’assenza di un quadro normativo e di regole etiche che regolamentino il funzionamento del web e che garantiscano le giuste tutele a chi ne usufruisce è però un problema cogente anche per le implicazioni che esso ha nelle dinamiche elettorali. A differenza del passato l’interesse di alcune entità statuali è quello di influenzare l’ordine interno ad uno Stato al fine di creare condizioni favorevoli ai suoi interessi, anziché portare definitivamente un paese nella propria sfera di influenza o annetterlo. Ciò è alla base di numerose infiltrazioni nei processi elettorali di alcuni paesi, si pensi al caso delle interferenze russe nelle elezioni statunitensi del 2016.

Tutto questo dimostra la centralità del web e dei social nell’influenzare il processo elettorale. È all’interno del quadro appena descritto, sfruttato anche da figure politiche ed enti interni al paese stesso, che si colloca il tema della post – verità, la subordinazione cioè della realtà alla politica.

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La post – verità è il tentativo di utilizzare un’ideologia, o quel che si augurerebbe fosse vero, per influenzare o leggere gli eventi reali. Si tratta, in ultima istanza, di modificare la percezione della realtà sfruttando i canali d’informazione al fine di modificare o indirizzare la realtà stessa – quindi, disciplinare i soggetti. Anche le fake news possono, ma non necessariamente, rientrare in questo quadro. L’uso di strategie simili non è certo una novità storica, la novità, piuttosto, sono i social media che hanno incrementato la scala e la velocità di diffusione di questi fenomeni rendendo le strategie manipolatorie più efficaci. La certezza su un argomento diviene così un terreno incerto che, assieme alla democratizzazione della scienza, fa sì che neanche gli specialisti possano dissipare il dubbio. Ciononostante ci sono dei casi in cui la fattualità fa breccia nel reale, cioè in cui il fatto stesso si impone al di là delle interpretazioni che ne vengono date. È il caso, ad esempio, del Coronavirus: le drammatiche conseguenze si impongono al di là delle strategie comunicative volte a ridimensionarle. È sull’interpretazione delle cause e delle responsabilità, sulla manipolazione dell’informazione riguardo la gestione della crisi, che si svolge la battaglia politica ed elettorale e di ridefinizione degli equilibri geopolitici. Un problema aggravato dalla tendenza dei social a mostrare contenuti standardizzati e che siano in accordo con le nostre preferenze, diminuendo così la possibilità di confrontarsi con opinioni e fonti differenti da quelle usuali e/o che reputiamo giuste alimentando il fenomeno per cui «non ci si fida di chi la pensa diversamente».

La nascita della democrazia e del sistema elettorale si è basata sulla convinzione che l’istruzione avrebbe fatto il buon cittadino. Si tratta, in sostanza, dell’antico tema della virtù, la quale ha come presupposto un certo grado di ricchezza o di benessere che consenta di trovare il tempo libero necessario all’educazione. La filosofia politica classica risolveva questo problema, si pensi a Platone, concentrando la propria attenzione non sulla libertà ma sulla virtù, per l’appunto, fondando un sistema di classi. Nell’età moderna, ad esempio in Rousseau, si presuppone di ovviare alle questioni poste dall’epoca classica con l’educazione universale. Ciò presuppone la presenza dell’economia dell’abbondanza che, a sua volta, pone il problema della tecnologia – come usarla per alleggerire dal lavoro l’uomo senza che questo sia succube alle macchine. Altro problema è poi quello dell’educazione: ciò che la filosofia classica intendeva come «formazione del carattere» è ciò che oggi pensiamo come istruzione e addestramento. La formazione del carattere o virtù è dirimente poiché l’istruzione moderna non è in grado di creare il buon cittadino poiché l’uso che ognuno fa del sapere dipende dalla propria coscienza – la libertà può anche essere maligna. L’istruzione, quindi, dipende da molteplici fattori che sono sia esterni allo studente che personali: le condizioni di accesso dell’alunno; la perseveranza nello studio; un sistema scolastico e universitario in grado di supportare i giovani e che dia le stesse possibilità anche a chi viene dai dipartimenti considerati erroneamente improduttivi, quelli umanistici. Inoltre, non tutti i tipi di «saperi» sono volti al ragionamento critico quanto, piuttosto, ad una formazione professionale e/o tecnica.  Vi è anche un problema economico: il fatto che non tutti hanno un lavoro che consente di seguire assiduamente l’attualità reperendo fonti molteplici, formando così un’opinione poco incline ad essere manipolata; le condizioni economiche di partenza della persona poiché, come talvolta succede, non sempre il sistema di welfare è in grado di aiutare, non solo economicamente ma anche in un senso più ampio, gli studenti bisognosi. Si tratta dei temi dell’equità e dell’uguaglianza di opportunità di fronte a condizioni economiche differenti che sono fondamentali in un contesto globalizzato, con una massa d’informazioni senza precedenti ed in cui si richiede un sempre più alto livello di specializzazione per accedere a determinate professioni. Proprio la richiesta di una formazione ulteriore dopo la laurea di secondo livello mostra come l’equità e l’uguaglianza siano temi fondamentali perché i master e i dottorati dipendono troppo spesso dalle condizioni economiche dell’aspirante alunno. Il risultato è un inceppamento del meccanismo della scala sociale anche perché i posti disponibili nei master e nei dottorati sono spesso inferiori rispetto alla domanda e non proporzionati ad un sistema meritocratico. Secondo l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia (ADI) dal 2007, anno precedente alla conversione in legge del decreto Gelmini, ad oggi i posti di dottorato banditi in Italia si sono ridotti del 43,4%. Dal 2014 a oggi, sottolinea Scienza in rete, i posti di dottorato sono scesi di circa tremila unità: da 12.093 a 9.297; più del 44% dei dottori ha almeno un genitore laureato, mentre solo il 13% dei dottorandi proviene da famiglie di operai, di dipendenti e con posizioni subalterne mentre un dottorando su tre proviene da famiglie socialmente elevate o appartenenti alla classe dirigente. La ricerca è, spesso, un ambito per chi ha la giusta disponibilità economica.

Vi è, infine, un problema politico: se la classe politica – o il sistema politico stesso – sono all’altezza delle esigenze dei cittadini. La disaffezione dalla politica non è infatti un problema recente ed è necessario porvi estrema attenzione poiché esso va ad intaccare la fonte di legittimazione della classe politica: il voto. Il suo contrario, il non voto, come espressione di malcontento e disaffezione dei cittadini dalla politica può essere legittimo? E in quali casi?L’astensione come fenomeno generalizzato e di lungo periodo, comunque, può rischiare di creare un’oligarchia democratica, una classe cioè di politici molto ristretta e poco accessibile ma che ciononostante gode di una fonte di legittimazione, pur se ristretta. Una tendenza autoritaria, come si vede in paesi quali l’Ungheria, e con la generale ascesa dell’estrema destra e del populismo in molte regioni del mondo. Due tendenze che si fondano sull’invocazione del «popolo come fonte di ogni sovranità dimenticando le regole a cui popolo ed eletti devono sottostare, andando inevitabilmente verso una deriva populista che, nei fatti, provoca un distacco dei governanti dai cittadini».[1]

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[1] Luis Sepúlveda con Bruno Arpaia, Raccontare, Resistere, Parma, Guanda, 2002, p. 78.

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