Non è certo la prima volta che un presidente della Repubblica francese perde la maggioranza relativa: già altre volte in passato è accaduto che il presidente in carica dovesse governare con il sistema della coabitazione. La coabitazione indebolisce il presidente perché lo costringe a scendere a patti con le/la forza di opposizione, soprattutto in un sistema presidenziale come quello francese modellato per avere un governo forte ed evitarsi certi problemi. Ciò vale soprattutto per Emmanuel Macron che, in questi anni, ha modellato la sua azione politica su un forte decisionismo.
Il vero vincitore, comunque, di queste elezioni è stata l’astensione. Non è stato battuto il record del 2017 del 57,36%, ma siamo comunque tra il 53,5% e il 54%. Un dato che dovrebbe preoccupare, soprattutto se lo guardiamo in prospettiva storica e in maniera comparata. L’astensione è un segnale di disaffezione e scontento da parte dell’elettorato che è così scoraggiato o irritato dalla classe politica da decidere di non votare. La Francia è un paese che, solo rimanendo nella storia recente, ha visto molti fenomeni di protesta anche radicali dovuti al malcontento sociale. Il più “eclatante” di tutti sono stati i gilet gialli. L’astensione e i successi di Marine Le Pen e la Nupe, la coalizione di sinistra guidata da Jean – Luc Mélenchon, si spiegano anche in questo modo. E sono segnali di un paese che vorrebbe essere faro delle democrazie europee e guida nel processo di federazione europea, ma che si ritrova (anche lui) con una polarizzazione politica crescente. E questo è l’altro vincitore di queste elezioni: la polarizzazione. Il che ci porta alla comparazione, perché sia quest’ultimo aspetto che l’astensione sono elementi che troviamo in più paesi occidentali, Stati Uniti compresi. Dobbiamo preoccuparci? Sicuramente questi dati parlano, ci dicono qualcosa. E questo qualcosa riguarda delle problematiche sociali simili: le diseguaglianze economiche crescenti, l’incapacità della classe politica ed intellettuale di rispondere in maniera adeguata a ciò che viene percepito come crisi, le battaglia culturali – il dibattito su temi come le identità di genere e i diritti delle donne – che sia negli States che in Francia sono un tema determinante. Un ruolo, in questa polarizzazione, lo hanno anche i social e la “crisi” della razionalità in favore di scelte emozionali frutto, molto spesso, del presentismo legato alla “fine della storia” a cui le formazioni estremiste pensano di dare risposta vagheggiando un ritorno ad un passato che non è mai esistito; oppure scagliandosi contro chi è diverso, cioè che viene percepito come causa di questa crisi. Problemi, questi, che riguardano l’Europa e gli Stati Uniti, non solo la Francia. E certamente vale la pena domandarsi se tutto questo non sia anche frutto di un sistema rappresentativo e politico che è oggi inadeguato rispetto ad un mondo che è sempre più glocale. Oppure se, invece, questi sistemi siano adeguati e dentro i loro parametri non risieda il meccanismo necessario ad assorbire le varie spinte che dicevamo. Se, insomma, questi sistemi non siano per loro costituzione resilienti.
Le Pen: un risultato storico?
Certamente il risultato del Rassemblement National è storico: 90 seggi, un gruppo autonomo nel parlamento. Un risultato forte per Le Pen anche a fronte della sconfitta alle presidenziali: molti davano la sua carriera come finita. RN prende il 17,30 delle preferenze. Compariamo questo risultato, tenendo comunque di conto che si tratta di contesti elettorali differenti. Europee 2014: il Front National (si chiamava ancora così), il partito di Le Pen arrivava per la prima volta nella sua storia in testa ad una competizione elettorale, con il 24,68% dei voti. Un risultato che lo rese anche il primo partito in Francia. Tornando alle europee del 2019, il partito di Le Pen ottenne il 23,53% delle preferenze, un risultato peggiore rispetto al 2014, ma in lieve miglioramento rispetto al primo turno delle presidenziali del 2017, quando ottenne il 21,30%. In quest’ultima tornata elettorale En Marche! ottenne il 24,01% – ieri Macron ha preso il 38,57%. Il partito di Macron alle europee del 2019 ottenne invece il 22,47%: circa un punto percentuale sotto il partito di Le Pen e tutto sommato un buon risultato per un presidente che usciva dalla crisi dei gilet gialli.
La “rincorsa” di Le Pen è un dato quasi “strutturale”: il che conferma la forza di RN che è riuscito a confermare questa tendenza, anche se ha preso meno voti rispetto ad altre competizioni elettorali. Macron è riuscito, comunque, a mantenere una certa percentuale di voto. Ma l’altro grande vincitore è Mélenchon: è riuscito a creare un fronte unico della sinistra e a coinvolgere l’elettorato e a portarlo al voto. La Nupe ha preso il 31,60%, 127 seggi. Nel 2007, l’ultima volta che la sinistra era andata all’opposizione, avevano 227 parlamentari. Questo dato ridimensiona un po’ la vittoria. Vedremo, comunque, se la coalizione reggerà o si sfalderà per litigi interni. Infine, la nuova Assemblea nazionale avrà 215 donne come rappresentanti (37,26%) e 362 uomini (62,74): un emiciclo in cui la presenza maschile è sovra rappresentata e in cui la presenza delle donne è calata rispetto all’anno record del 2017, quando corrispondeva al 39%.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.