Con Taiwan la speaker democratica Nancy Pelosi ha giocato una partita al rialzo. Solo con il tempo sapremo quali saranno le reali conseguenze. Al momento possiamo solamente osservare la (scontata) risposta muscolare cinese, con tre giorni di esercitazioni militari ai confini di Taiwan. Ma se il calcolo della speaker si rivelerà corretto, la delegazione congressuale statunitense avrà mandato un messaggio forte e coerente a Pechino.
Forte perché “gli Stati Uniti qui stanno, nella difesa delle democrazie nel mondo, e non indietreggiano”, potremo riassumere con uno slogan ciò che del resto ha dichiarato anche Pelosi nell’editoriale sul Washington Post in cui ha spiegato le ragioni della visita a Taiwan.
Coerente perché la missione è in linea con la storia politica della speaker, da sempre critica di Pechino e sostenitrice dei diritti umani. Coerente, inoltre, con l’ostilità bipartisan nei confronti della Cina negli Stati Uniti. Ostilità che, a sua volta, si riverbera negli eletti: al Congresso l’opposizione a Pechino è uno dei pochi temi che trova ampie maggioranze democratiche e repubblicane – certo, con differenze di non poco conto tra i due schieramenti sulle ragioni dell’ostilità e su come ostacolare il Dragone. Coerente con il discorso di politica estera di Biden che contrappone autoritarismo e democrazia con una forte centralità dei diritti umani (almeno a parole). Infine, è coerente con il sostegno che gli Stati Uniti – sia amministrazioni democratiche che repubblicane, Donald Trump compreso – hanno dato a Taipei in questi anni per renderla una roccaforte nel quadro più ampio dell’Indo – Pacifico dove l’isola deve svolgere un ruolo cruciale nel contenimento cinese.
L’ultimo viaggio di un omologo risale al 1997: era lo speaker repubblicano Newton Gingrich e presidente il democratico Bill Clinton. La questione è stata usata da Pechino per criticare Biden che agli occhi del governo cinese non sarebbe capace di “controllare” la speaker. Ma Biden non può farlo e infatti questo viaggio non solo rientra nelle prerogative del ruolo istituzionale di Pelosi, ma è anche un tentativo del ramo legislativo di riprendere delle prerogative che, nel corso degli anni, ha ceduto all’esecutivo. Non da ultimo, anche una questione elettorale in vista delle midterm di novembre.
Negli ultimi tempi la situazione intorno a Taiwan si era ulteriormente deteriorata, tant’è che alcuni analisti preconizzavano l’invasione in concomitanza con quella Ucraina. Altri la continuano a ritenere un’eventualità molto probabile. È sufficiente guardare agli attacchi informatici, agli sconfinamenti aerei, alle esercitazioni e alle provocazioni di Pechino ai danni di Taipei: si sono tutte intensificate. L’obiettivo lanciato da Xi Jinping per il 2049, il «grande ringiovanimento», lascia intendere che tra i vari step previsti vi sia anche l’annessione di Taiwan.
La domanda che molti si sono posti è se sia stato conveniente agire con questo tempismo. Dopo l’Ucraina – e l’inazione rispetto alle proteste del 2019-20 di Hong Kong – Pelosi invia, effettivamente, un messaggio forte in un momento critico ed in cui la possibilità di fallire è alta, rischiando così di esacerbare le tensioni nell’area. Il governo cinese è al momento alle prese con un grave problema economico – bolla del debito e dell’immobiliare; crisi di alcuni istituti di credito e altro. Xi Jinping, inoltre, sta cercando di rafforzare la propria leadership per chiedere un terzo mandato – se vi riuscisse sarebbe il primo. Da un lato Xi è quindi concentrato nel rafforzare la sua posizione; dall’altro una dimostrazione di forza potrebbe essere ciò di cui ha bisogno. Ma gli converrebbe? La forza militare di Pechino è cresciuta negli ultimi anni, ma non è ancora paragonabile a quella statunitense. È sufficiente guardare alla miniaturizzazione delle componentistiche che rendono i caccia cinesi grandi e difficilmente manovrabili rispetto a quelli statunitensi, europei o russi.
Gli Stati Uniti possono contare sull’India e il Giappone – per tacere del supporto di altri paesi come Australia e Nuova Zelanda e del fatto che la coalizione occidentale, in conseguenza alla guerra in Ucraina, è più unita che in passato. Il Pakistan, alleato della Cina, non gode di un buon momento politico e la Russia non può aiutare essendo impegnata nel conflitto con Kiev. Secondo alcuni analisti la Speaker avrebbe potuto rimandare il viaggio di qualche mese: dopo le elezioni di midterm e il congresso del partito comunista cinese. Ma dopo che Pechino aveva giocato al rialzo dei toni e minacciato rimandare non sarebbe stato possibile. Ciò che sembra apparire al momento è che il calcolo della speaker si sia rivelato corretto – vuoi anche per la lunga telefonata di qualche giorno fa tra Xi e Biden con cui i due leader potrebbero aver trovato un canale di dialogo. Il blocco delle esportazioni di sabbia e dell’importazione di frutta e pesce, così come le esercitazioni militari sono infatti azioni più che altro simboliche. Se il rialzo di Pelosi sarà stato corretto lo scopriremo con il tempo, se lo status quo nell’isola si risolverà in favore di Taipei.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.