La guerra in Ucraina è una sorta di ritorno al passato riguardo le modalità (e le motivazioni) per cui si combatte una guerra? Secondo alcuni studi sembrerebbe proprio di sì. 

Innanzitutto, la guerra è un conflitto che si combatte in Europa. Ciò non è importante solamente perché la guerra ritorna sul nostro continente dopo la Seconda guerra mondiale e la fine dei conflitti in ex Jugoslavia. Ciò che infatti l’invasione russa ha messo al centro dell’attenzione è l’eventualità che un conflitto si combatta in Europa anche perché tra ciò che ha spinto Vladimir Putin alla guerra è anche la svolta democratica ed europeista dell’Ucraina. I paesi membri dell’Unione Europea erano e sono coinvolti in conflitti con un coordinamento collettivo. Conflitti, come quelli in alcuni paesi del Sahel quali ad esempio il Mali, che non sono però alle “porte di casa” e che non minacciano direttamente il continente. Nelle zone dell’Africa, ad esempio, in cui sono coinvolti i contingenti europei, questi vengono impiegati per l’addestramento delle forze armate e di sicurezza locali o nel contrasto al terrorismo. Sono conflitti che vengono definiti “a bassa intensità” perché non implicano un coinvolgimento tale, per una delle due parti in causa, da mettere a rischio la sua stabilità economica e perché solitamente vedono contrapporsi uno o più eserciti regolari con formazioni irregolari – formazioni, cioè, che non sono eserciti che fanno riferimento ad uno Stato e che suppliscono alla carenza di armi moderne con tattiche di guerriglia. In Ucraina, invece, siamo di fronte ad un conflitto ad alta intensità perché esso mette in questione la stabilità economica occidentale, ma anche perché a confrontarsi sono due eserciti regolari: l’Ucraina (e i suoi alleati) e la Russia. Soprattutto, si tratta di un conflitto in cui una delle due parti in causa, la Federazione Russa, combatte per conquistare ed annettere un territorio, a differenza delle guerre asimmetriche combattute, di nuovo, in Africa dove l’esercito regolare combatte per evitare che si verifichi un mutamento di regime – e lo stesso fanno gli alleati. 

Ogni conflitto ha una natura esistenziale per cui le parti in causa ritengono che il loro modo di vivere e/o la loro stessa esistenza siano messi in pericolo. Il livello di minaccia in tal senso che viene avvertito dalle parti in causa sembra essere diverso dal passato. Ciò spiega perché oggi il tabù del nucleare sia stato messo in discussione. Putin considera l’Ucraina non solo parte della sfera di influenza russa, ma parte integrante della rus – il nucleo originario della Russia. Il fatto che Kiev non faccia parte della Federazione Russa viene avvertito come una “deviazione” rispetto alla storia da correggere. Ciò fa parte del più ampio disegno dell’inquilino del Cremlino volto a restaurare l’influenza dell’Unione Sovietica – vanno letti in tal senso gli interventi in Africa, in Siria, Cecenia e Georgia – il cui crollo viene considerato da Putin la “più grande catastrofe geopolitica della storia.” All’interno di questa visione stanno due fattori di preoccupazione ulteriore. L’uno riguarda il fatto che per Putin la guerra in Ucraina è, in una certa misura, una guerra punitiva. Come ha esemplificato nell’editoriale “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina diffuso il 4 aprile di RIA Novosti, il principale organo di stampa del Cremlino, si spiega che l’Ucraina è ormai nazificata a tal punto che persino la popolazione è complice. Pertanto, è necessaria una guerra di colonizzazione cui seguirà un’occupazione di almeno venticinque anni in cui gli ucraini dovranno essere rieducati. L’altro fattore riguarda la messa in discussione dell’ordine internazionale. Putin lo ha detto più volte: è finita l’epoca dell’unipolarismo (gli Stati Uniti) – tralasciando che il sistema che critica non è più unipolare e che viene accettato dalla Cina. Che si tratti di propaganda o no, è una notevole differenza rispetto al passato: anche Pechino, infatti, si muove all’interno dell’ordine internazionale e per quanto cerchi di guadagnare centralità non lo mette in discussione. In tal senso, non è solo l’espansione della NATO, ma anche dell’Unione Europea dei diritti e della democrazia a preoccupare Putin – non va dimenticato, infatti, che la guerra in Ucraina iniziò con le proteste di Euromaidan del 2013 e del 2014, cui seguì l’invasione della Crimea. Considerando quanto detto, possiamo ora comprendere come sia possibile per Putin mettere in discussione il bilanciamento nucleare. 

L’impiego dell’arma atomica viene da molti analisti considerato meno efficace rispetto all’impiego di altre armi; soprattutto, viene ritenuto improbabile proprio per il discorso del bilanciamento. Ad oggi l’impiego delle armi tattiche nucleari – armi con un potenziale distruttivo inferiore –  da parte di Putin rimane comunque una eventualità remota – anche perché probabilmente il Cremlino si ritroverebbe isolato dai suoi stessi alleati. Ma ciò che è dirompente è il mettere in discussione il tabù nucleare.  La dottrina nucleare russa è stata rivista nel 2020. La revisione ha reso i criteri d’impiego delle atomiche meno stringente rispetto al passato che contemplano l’eventualità in cui la sovranità e l’integrità territoriale della Russia sia messa in pericolo. Inoltre, nel discorso del 24 febbraio con cui si annunciava l’invasione dell’Ucraina, Putin ha sostenuto che l’intervento si era reso necessario a fronte “di una minaccia molto reale per i nostri interessi, ma anche per l’esistenza stessa del nostro Stato e per la sua sovranità”, riferendosi all’espansione della NATO nell’Europa dell’est. La dottrina sul nucleare della Russia, inoltre, prevede che l’atomica possa essere utilizzata per “intimorire” l’avversario nei casi in cui i vertici russi ritengano che per il nemico rispondere al lancio dell’atomica – che magari non colpirebbe, inizialmente, obiettivi civili – non sia ritenuto conveniente. Ragionamenti che fanno venir meno ciò che era alla base della dottrina del balance nucleare. Secondo alcuni analisti la minaccia dell’impiego dell’atomica da parte di Putin ricorderebbe la “teoria del fuori di testa” – per cui si fa intendere all’avversario di essere disposti anche ad un uso asimmetrico e sproporzionato della forza – messa a punto dal presidente statunitense Richard Nixon per intimorire i vietnamiti. Non è da escludere che sia così, ma si tratterebbe comunque di un “ritorno al passato” in cui comunque il tetto di cristallo sulla deterrenza e la consapevolezza che le armi nucleari non verranno utilizzate è stato rotto.  

© Riproduzione riservata