Le presidenziali del 2020 sono state forse le elezioni maggiormente polarizzate nella storia degli Stati Uniti – ne avevamo parlato qui. La religione, sia come fattore di mobilitazione dell’elettorato, sia come elemento polarizzante, ha avuto un ruolo determinante, nonostante la popolazione americana sia sempre più spesso meno credente e/o religiosa. Una centralità che, probabilmente, non si esaurirà nelle prossime midterm, ma che può essere un utile strumento per comprendere parte della mobilitazione dell’elettorato repubblicano e, in una certa misura, democratico. Non è un caso, del resto, che in Pennsylvania il candidato alla carica di governatore dello stato per il Partito repubblicano sia Doug Mastriano, il quale afferma che la divisione tra Stato e chiesa deve finire. Mastriano è anche un sostenitore delle teorie di QAnon e, come senatore statale, provò a non certificare l’elezione di Joe Biden arrivando a prendere parte all’assalto al Congresso.
Per avere un’idea della centralità del fattore religioso nelle elezioni statunitensi sono sufficienti alcuni dati. Circa il 59% degli elettori che frequentano con una certa regolarità le funzioni religiose vota per Donald Trump, mentre il 40% ha scelto Biden. In maniera sostanzialmente invertita, chi frequenta una volta all’anno o meno le funzioni ha votato al 58% per l’attuale presidente, mentre il 40% per l’ex inquilino della Casa Bianca. All’interno di questi statistiche spicca il dato etnico: il 71% di chi ha votato Trump e frequenta abitualmente una Chiesa è bianco. Solamente il 27% ha espresso preferenza per Biden. Di nuovo, il rapporto varia guardando a chi, tra i bianchi, non frequenta spesso i luoghi di culto: il 46% vota Trump, il 52% Biden. Inoltre, circa il 60% dei White Christian che hanno votato per l’ex presidente ritiene che la teoria delle “elezioni rubate” sia veritiera. Un altro dato significativo è quello degli evangelici: un gruppo religioso che ha un peso notevole all’interno della politica statunitense – basti qui pensare che tra le ragioni che hanno portato alla scelta di Mike Pence come Vicepresidente vi era la sua confessione evangelica che avrebbe tranquillizzato e attratto voti in quell’elettorato. Circa l’81% degli evangelici ha votato per Trump e, peraltro, la maggior parte dei 139 eletti che hanno votato contro la certificazione di Joe Biden provengono da distretti elettorali a prevalenza evangelica. Nel 2020, inoltre, l’ex presidente è stato capace anche di riempire il vuoto nel voto mormone lasciato dal candidato appartenente a questa confessione Evan McMullin raccogliendo il 15% dei voti in più rispetto al 2016.
Per quel che riguarda Joe Biden, invece, nel 2020 l’attuale presidente degli Stati Uniti raccolse circa il 94% dei voti tra i Black Protestant. In generale, nove afroamericani su dieci che assistono alle funzioni religiose regolarmente hanno votato per Biden, così come il 94% di chi frequenta poco o non frequenta affatto. Solamente il 10% degli elettori afroamericani che si recano regolarmente in Chiesa e il 5% dei rari frequentatori ha votato per Trump. In generale, Biden ha raccolto il 71% delle preferenze tra chi non ha una affiliazione religiosa e l’86% tra gli atei e gli agnostici.
Come spiegarsi questa polarizzazione e il netto sostegno che l’elettorato bianco religioso, in particolare evangelico, ha dato e continua a dare al Partito repubblicano e a Donald Trump? Molteplici sono le spiegazioni. Un fattore determinante sono questioni che la destra religiosa percepisce come moralmente rilevanti e con un impatto elevato nella società (ad esempio l’aborto e i matrimoni tra persone dello stesso sesso), aspetti di cui Trump e il Grand Old Party (GOP) si sono fatti garanti come testimoniano le nomine alla Corte Suprema dei giudici Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett che hanno contribuito a ribaltare la sentenza Rose vs Wade – nomine conservatrici in tal senso sono state fatte anche in altri rami del potere giudiziario. Vi sono poi questioni che potremo definire come simboliche, ma che hanno un forte impatto nella percezione dell’elettorato religioso, tra queste la decisione di spostare l’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme e la creazione dell’Evangelical Advisory Board della Casa Bianca guidato da Paula White, tra le predicatrici più note negli Stati Uniti. Vi è anche un fattore, decisamente da non sottovalutare, etnico e di genere: un maschio bianco e protestante (Trump), dopo un presidente Black Americans (Barack Obama) e una candidata donna (Hillary Clinton). Ma vi è anche una vena di forte pragmatismo favorevole ad un regime fiscale con una bassa tassazione. Un ruolo fondamentale lo ha avuto, inoltre, Faith & Freedom, un’associazione creata dal consulente politico e lobbysta Ralph Reed al fine di instaurare un ponte tra il Tea Party e gli evangelici. Visto quanto detto, la scelta di Donald Trump di estremizzare la tendenza già presenti all’interno del Partito repubblicano di identificazione con la destra religiosa, rendendo ancora più polarizzanti questioni come l’aborto, è stata vincente. Non è un caso che le attenzioni degli strateghi elettorali dell’ex presidente non abbiano trascurato nemmeno gli Amish per cui nel 2016 ad Arlington (Virginia) è stato creato un apposito Political Action Committee – organizzazione che promuove il voto per un politico e raccoglie donazioni.
Storicamente, è negli anni Sessanta che si trovano le radici della radicalizzazione della politica americana e dell’intreccio con la questione religiosa le cui istanze hanno trovato una sponda favorevole nel Grand Old Party. Una questione centrale nelle elezioni presidenziali del 1960 fu la confessione cattolica del candidato democratico John Fitzgerald Kennedy – all’epoca diversi protestanti si chiedevano a chi avrebbe dato fedeltà Kennedy, se alla Chiesa o allo Stato. Nonostante il repubblicano Richard Nixon uscisse sconfitto dalle consultazioni, il candidato del GOP era comunque riuscito a mobilitare una parte dei propri elettori appellandosi alla difesa di un’America protestante – Nixon era un quacchero. Altro momento importante fu il 1964, quando il Partito repubblicano candidò alla presidenza Barry Goldwater con un programma di critica al big government – un’eredità del New Deal di Franklin Delano Roosevelt – e che guardava all’elettorato irritato per le aperture in materia di diritti civili e ai mutamenti socioculturali che stavano allora prendendo piede. Negli stessi anni i mennoniti – confessione religiosa nata dallo stesso ceppo anabattista degli Amish, ma più aperta nei confronti della società e della tecnologia – iniziarono a coinvolgersi maggiormente nella vita politica al fine di difendere i valori che la loro comunità promuove. Ma il vero momento di svolta fu alla fine degli anni Settanta, quando nacque la Christian right, una fazione politica composta da individui di confessione cristiana, in particolare evangelici, che tentano di influenzare la politica statunitense seguendo una lettura tradizionalista delle Bibbia e conservatrice della società. Già nelle elezioni che portarono alla Casa Bianca Ronald Reagan nel 1981 la Christian right dette un contributo di valore, sperando di trovare nel Partito repubblicano, che stava allora ridefinendosi anche per l’ingresso dei neocon, una sponda favorevole. Non trovando quella sponda favorevole che sperava in Reagan, la Christian right iniziò ad attuare un’opera di riorganizzazione e infiltrazione all’interno del GOP al fine di influenzarne le dinamiche interne. Fu così che alla convention del 1992 essa riuscì ad influenzare il programma del Grand Old Party. In quell’occasione, l’esponente della destra religiosa Pat Buchanan affermò che «There is a religious war going on in our country for the soul of America. It is a cultural war, as critical to the kind of nation we will one day be as was the Cold War itself. And in that struggle for the soul of America, Clinton & Clinton are on the other side, and George Bush is on our side. And so, we have to come home, and stand beside him» («C’è una guerra religiosa in corso nel nostro paese per l’anima dell’America. È una guerra culturale, fondamentale per il tipo di nazione che un giorno saremo come lo è stata la stessa Guerra Fredda. E in questa lotta per l’anima dell’America, i Clinton sono dall’altra parte, George Bush è dalla nostra parte. E quindi, dobbiamo tornare a casa e stare al suo fianco»). Alle elezioni del 2000 e del 2004 la Christian Right riconobbe nel born again Christian George Bush Jr. il proprio rappresentante, contribuendo alla vittoria del candidato repubblicano che, una volta eletto, nominò diversi evangelici in posizioni di rilievo. Bush, che aveva posizioni conservatrici sull’aborto e la società e proponeva un’immagine rassicurante da country man, mobilitò a tal punto l’elettorato religioso che persino la comunità Amish, tradizionalmente restia a recarsi alle urne, votò per lui. Tra gli Amish la mobilitazione fu tale che venne definita Bush fever. Per rendere un’idea: alle elezioni presidenziali del 2000 dei 2.134 Amish registrati per il voto nella sola contea di Lancaster (Pennsylvania, è la contea principale Amish e su cui la maggior parte delle ricerche si concentrano) andarono a votare 1.342 di loro, il 63%. Nel 2004 la partecipazione degli Amish fu tale che nella sola contea di Lancaster la voter registration tra gli Amish salì del 169%, per un totale del 21% degli adulti Amish che si registrarono al voto.
Dagli anni Sessanta in poi la radicalizzazione della politica americana si è intrecciata con la questione religiosa le cui istanze hanno trovato una sponda favorevole nel Grand Old Party di Reagan, Bush e Trump ma anche di Rick Santorum e Ted Cruz – questi ultimi sono esponenti della Christian Right. Il fatto che la maggior parte dei membri del Partito repubblicano si contenda i voti dei religiosi ha comportato la presa di posizioni sempre più conservatrici incentivando la polarizzazione. Per quanto all’interno del mondo religioso americano si levino voci critiche nei confronti di Trump, al contempo la polarizzazione e le battaglie culturali hanno fatto dell’ex presidente, anche per puro pragmatismo (focalizzarsi sui fini anziché sui mezzi), il rappresentante della destra religiosa – anche tra gli Amish c’è chi ha espresso sostegno a Trump apertamente. L’elettorato religioso risponde, tradizionalmente, con fervore alla chiamata alle urne e c’è da aspettarsi che anche nelle prossime midterm sarà così. Anche perché la Christian Right potrebbe ritenere questo sia il momento giusto per difendere le conquiste fatte durante la presidenza Trump dall’azione di Biden e, quindi, riportare il Partito repubblicano al potere.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.