Che cosa c’è in ballo
Alla Camera dei Rappresentanti 435 seggi, al Senato un terzo dei senatori (34 su 100) a cui si aggiunge un’elezione suppletiva in Oklahoma. Come in ogni midterm si vota anche per diversi congressi statali e per l’elezione di alcuni governatori (36) e per cariche che un tempo erano considerate minori ma che hanno acquisito una centralità prima sconosciuta. Stiamo parlando dei segretari di Stato (27 posti in gioco) che gestiscono e convalidano le operazioni elettorali. Nelle settimane successive alle elezioni del 2020 furono loro a dover contrastare i tentativi di eversione trumpiana e se pensiamo che diversi candidati repubblicani negano la legittimità della vittoria di Joe Biden ci rendiamo conto dell’importanza di queste cariche. Si voterà, inoltre, anche per alcuni referendum statali.
Un paese diviso
In occasione delle presidenziali del 2020 che portarono Biden alla Casa Bianca parlai, in questo podcast, del rischio che stava correndo la democrazia americana di scivolare in una spirale di violenza e di non riconoscimento della legittima vittoria dell’avversario – ne parlammo anche qui, ma in relazione al voto postale e alla destra religiosa. Quella che era allora un’ipotesi si è poi concretizzata nel tentativo insurrezionale del 6 gennaio 2021, quando una folla di supporter di Donald Trump prese d’assalto il Congresso – qui che cosa ha detto Joe Biden per l’anniversario, mentre qui trovate il live blog di quel giorno e qui un’analisi dell’accaduto. Le inchieste stanno dimostrando la responsabilità dell’ex presidente in questo episodio e, in generale, nella spirale di violenza, verbale e fisica che continua ad affliggere il paese. Un esempio recente: l’irruzione nella casa di Nancy Pelosi da parte di un supporter di Trump che ha aggredito il marito della speaker democratica. Questa spirale, che Trump ha cavalcato ed estremizzato a fini personali, ha radici profonde nella storia degli Stati Uniti: riguarda questioni di rilievo, come il razzismo e il suprematismo bianco, ma anche i diritti delle donne e l’idea di come dovrebbe essere il paese. Le guerre culturali – lo scontro duro su questioni, per l’appunto, come l’aborto e la parità razziale e tra i sessi – hanno assunto nel Partito repubblicano una declinazione pericolosamente white supremacist patriarcale e protestante, spesso con punti di riferimento nelle sette religiose o in ambienti cospirazionisti come QAnon. Di nuovo, le premesse sono intrecciate con la storia americana ma, semplificando, possiamo dire che un punto di svolta fu nella reazione a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta che portò poi alla candidatura di Barry Goldwater per le presidenziali del 1964. Oggi come allora al centro della contestazione stavano non solo le guerre culturali, ma anche la critica ai mutamenti socioculturali che stavano prendendo piede. Questa critica si è sviluppata e ha trovato un punto di riferimento importante nella destra religiosa – fazione politica composta da individui di confessione cristiana, in particolare evangelica che tentano di influenzare la politica statunitense secondo una lettura tradizionalista delle Bibbia e conservatrice della società – e nella nascita delle milizie di estrema destra. Proprio la destra religiosa potrebbe avere un ruolo determinante nelle prossime presidenziali – del resto, lo ha già avuto in quelle precedenti del 2020 e negli equilibri della Casa Bianca durante il mandato di Donald Trump. Qui e qui trovate due articoli in cui spiego la storia e la centralità della destra religiosa. In questo articolo, invece, una panoramica più ampia e dettagliata che guarda al coinvolgimento degli Amish, una comunità generalmente restia al voto, da parte dei repubblicani. Il voto degli Amish può essere vitale per conquistare le maggioranze negli swing states di Pennsylvania e Ohio. Le milizie, invece, ebbero un punto di svolta a seguito di una serie di stand – off, situazioni di stallo in cui due parti si fronteggiano ricorrendo alle armi, dalle tragiche conseguenze negli anni Novanta e hanno avuto un ruolo centrale nell’assalto al Campidoglio. Diversi miliziani sono oggi sotto processo, ma non è da escludere, come in passato, che possano prendere parte a nuovi tentativi insurrezionali. Non è del tutto fantascientifica come opzione che Trump possa sfruttarle per tentare di mettere in atto un colpo di Stato – in parte è ciò che sta emergendo dalle indagini della Commissione di inchiesta parlamentare sul 6 gennaio. Già in occasione delle proteste per l’uccisione di George Floyd molti criticarono Donald Trump per una gestione personalistica e pretoriana del potere, compreso quello militare e di polizia, alimentando il timore che in caso di sconfitta alle presidenziali del 2020 avrebbe potuto invocare la federalizzazione della Guardia Nazionale o ricorrere ad altri artifici per mantenere il potere – di nuovo, quello che sta effettivamente dimostrando la Commissione.
Ad oggi, questi ambienti predicano il “ritorno” ai testi sacri della rivoluzione, la Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione, in particolare i primi dieci emendamenti, per sviluppare una critica del governo federale in favore di una maggiore decentralizzazione, contro la globalizzazione e i limiti che impongono gli organismi sovranazionali all’azione degli Stati Uniti nel mondo. È inutile dire che la lettura della storia statunitense e dei suoi testi fondamentali che propongono non ha niente a che vedere con la realtà storica.
Una minaccia che arriva (anche) dall’alto
È ciò che alcuni commentatori stanno sottolineando: la minaccia alla democrazia americana viene forse più dall’alto che dal basso. Dai governatori, dai politici locali e tribunali locali che potrebbero usare o cambiare le leggi, che potrebbero rifiutarsi di riconoscere la legittimità delle elezioni, ma che potrebbero anche alimentare nuovi gesti violenti. Del resto, non solo molti candidati repubblicani alle midterm, ma in generale molti esponenti di questo partito diffondono false notizie sulla vittoria “rubata” da parte di Biden alle presidenziali del 2020. Molti di loro invece di condannare l’attacco alla residenza dei coniugi Pelosi, hanno deriso l’accaduto diffondendo, inoltre, fake news sull’episodio.
In ballo c’è molto di più
I democratici non si stancano di ripeterlo. Anche Joe Biden e l’ex presidente Barack Obama, intervenuto nella campagna elettorale per cercare di portare al voto più persone possibile, lo dicono in continuazione: queste elezioni sono di un’importanza capitale. In ballo c’è il futuro della democrazia americana, ciò che essa vuole essere, la sua immagine, il suo ideale, la sua definizione – del resto quando Biden era ancora candidato proponeva un programma per ricongiungere l’America con le sue aspirazioni. In gioco ci sono diritti, come quello all’aborto. Ma c’è anche la collocazione internazionale degli Stati Uniti nel mondo. Una collocazione che, lo si voglia o no, è perno centrale dell’attuale sistema delle relazioni internazionali. Un’America faro del mondo per le democrazie illiberali porta legittimità ai vari Orban e Bolsonaro, creando un contesto di incertezza e volatilità in cui crisi economiche e militari possono essere più frequenti, lasciando ampio spazio alla Cina – non certo un esempio di democrazia, di attenzione ai diritti umani e all’ambiente. Ne ho scritto in questo saggio.
Se fino a pochi anni fa gli Stati Uniti erano considerati la maggiore democrazia, l’immagine prevalente agli occhi di molti, comprese le cancellerie europee, è quella di un paese in bilico su cui non si può più fare lo stesso affidamento di un tempo. In verità, la democrazia statunitense sta mandando diversi segnali di resilienza. Contrariamente a quel che si può pensare, infatti, è ancora presto per parlare di declino inarrestabile degli Stati Uniti o di un loro superamento da parte della Cina. Il soft power statunitense, per citare un esempio, non ha eguali e dietro alla resistenza ucraina sta la capacità di Washington non solo di costruire un’ampia coalizione a sostegno di Kiev, ma anche lo scambio di informazioni di intelligenze e la fornitura di armi decisamente più sviluppate rispetto a quelle di Cina e Russia.
Se il futuro è misura dell’inatteso e avventurarsi in giudizi sicuri su ciò che ci aspetta è rischioso, possiamo però concludere che il rischio di violenze politiche, paralisi del meccanismo di funzionamento della democrazia, fino all’impeachment a Joe Biden, Kamala Harris e al Segretario di Stato Antony Blinken è ad oggi una realtà probabile – qui per il primo impeachment a Trump. Uno scenario preoccupante, soprattutto se assumiamo una prospettiva comparatista che guardi, quanto meno, al contesto atlantico.
Un contesto e un trend che sembra favorire i repubblicani
Se fino a questa estate la partecipazione elettorale sembrava favorire i democratici, anche in reazione alla sentenza della Corte Suprema sull’aborto, ad oggi temi come l’inflazione stanno favorendo i repubblicani nei sondaggi. Emergono due considerazioni. La prima, che molti statunitensi sembrano preoccuparsi maggiormente di problemi cogenti come l’aumento del costo della vita. Detto in altri termini, la preoccupazione per la democrazia americana sembra essere un appannaggio di pochi. Lo dimostra anche un recente sondaggio, secondo cui la maggioranza degli americani (il 59%) ritiene la propria democrazia forte. Al contempo, il 44% degli intervistati ritiene che il mondo sia nelle mani di una cabala segreta. Contraddizioni che evidenziano un contesto di incertezza e di volatilità – seconda considerazione – che può favorire i repubblicani, ma che ci dice anche quanto temi come l’assicurazione sanitaria e il diritto all’aborto possano essere considerati vitali anche da chi preferirebbe votare repubblicano.
Generalmente le midterm premiano il partito che non risiede alla Casa Bianca. In tal senso, guardando al trend storico è probabile una vittoria repubblicana favorita anche dal ricorso al gerrymandering – ridisegnare i collegi elettorali in proprio favore – da parte del GOP là dove è al potere. I sondaggi indicano che quasi sicuramente il Partito repubblicano riconquisterà la Camera, mentre è più incerta la situazione al Senato. Qui i democratici devono difendere 14 dei 35 seggi in palio ma, vista la situazione di attuale parità, se i repubblicani dovessero conquistare uno solo di questi seggi rovescerebbero la maggioranza. Previsioni difficili anche perché la scelta di presentare candidati estremisti e vicini a Trump – in Pennsylvania, ad esempio, il candidato governatore è Doug Mastriano che ha preso parte all’attacco al Congresso – non è detto che si riveli vincente essendo dei candidati che non attraggono i moderati e gli indecisi.
Se è vero che fino a poco tempo fa i democratici sembravano essere i favoriti è anche vero che i risultati elettorali di questi due anni hanno dimostrato diverse fragilità e un contesto favorevole ai repubblicani. Questi ultimi si avvantaggiano di un elettorato che si mobilita facilmente, a differenza dei democratici che, comunque, hanno dimostrato di saper imparare dai loro errori. Dopo il non ottimo risultato in diverse elezioni locali nell’ottobre del 2021 i dem hanno infatti capito che focalizzare il dibattito elettorale su Trump non mobilita l’elettorato. Piuttosto, è necessario focalizzarsi su temi che l’elettorato avverte come rilevanti, come l’aborto e l’assicurazione sanitaria o tematiche locali. Guardando al 2020, se dopo le midterm del 2018 che portarono un numero mai visto prima di donne al Congresso ci si aspettava un’onda blu (il colore del Partito democratico) al Congresso che non si è verificata, nonostante comunque quelle presidenziali siano state le più partecipate degli ultimi 120 anni e abbiano portato i dem a riconquistare il Midwest che nel 2016 Trump vinse per un soffio. In quelle elezioni i Dem mantennero il controllo della camera, ma persero quattro seggi mentre il GOP ne guadagnò cinque e al Senato la situazione rimase in parità.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.