L’8 febbraio si è tenuto il discorso sullo stato dell’Unione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Un discorso lungo, durato circa settantatré minuti. Il primo con la nuova maggioranza repubblicana alla Camera e con il nuovo speaker Kevin McCarthy. Un discorso avvenuto con Washington in elevato stato di allerta, per il timore di nuovi attacchi al Congresso, e con i militari che hanno assistito alla messa in sicurezza del perimetro intorno al Campidoglio.
Biden si è concentrato soprattutto sulla politica interna, cercando di mandare un messaggio di ottimismo e di cooperazione ai repubblicani, ma senza offrire concessioni.
Biden ha, infatti, più volte esortato a «finish the job», ad un sostegno bipartisan per alcuni progetti di legge di aumento delle tasse sui ricchi e di estensione degli aiuti sociali ai bisognosi, citando le leggi bipartisan approvate quando i democratici avevano la maggioranza.
Questo messaggio di unità e di ottimismo – stridente rispetto alla retorica utilizzata dal predecessore Donald Trump – è una caratteristica di Biden sin dalla sua candidatura alle presidenziali, quando l’attuale inquilino della Casa Bianca dichiarò di volere ricongiungere l’America con le sue aspirazioni. Biden ha quindi offerto una visione ottimistica al paese, un’uscita dagli anni del Covid-19 e una celebrazione delle conquiste economiche del suo ufficio come la riduzione dell’inflazione e la crescita dei posti di lavoro: «You know, this is, in my view, a blue-collar blueprint to rebuild America and make a real difference in your lives at home».
Un messaggio di ottimismo che è anche una rivendicazione e una risposta agli attacchi repubblicani e al calo di consensi nei sondaggi – molti statunitensi non gradiscono il presidente e tra i democratici in diversi non sono convinti di una sua ricandidatura per un secondo mandato. In tal senso, il discorso di Biden è stato anche un tentativo di posizionarsi come leader responsabile assediato da un’opposizione litigiosa che sta bloccando delle leggi importanti che potrebbero aiutare i cittadini americani. Biden è consapevole che la nuova maggioranza repubblicana alla Camera cercherà di bloccare l’azione legislativa democratica, che chiederà profondi tagli alla spesa in cambio dell’aumento del tetto del debito – una richiesta che il presidente rifiuterà – e che l’invio di aiuti economici e militari all’Ucraina potrebbe non essere più così scontato – McCarthy durante la campagna elettorale dell’anno scorso aveva affermato che se il GOP avesse avuto la maggioranza non ci sarebbero più stati «assegni in bianco» per Kiev. Biden ha messo le mani avanti, ha cercato di far capire al pubblico americano che lui sta cercando una strada per far passare delle leggi importanti in maniera bipartisan e che se queste non passeranno la colpa sarà tutta dei repubblicani. Un messaggio in apparenza conciliante, ma che non si sottrae al confronto. Del resto, il presidente è apparso a suo agio di fronte ai numerosi attacchi dei repubblicani durante il suo discorso – che non è iniziato benissimo, con Biden un po’ impacciato, ma che ha poi dato l’impressione di essere energico – a cui ha replicato con forza. Attacchi che raramente si erano visti durante i discorsi sullo stato dell’Unione in passato e che ci segnalano quanto l’America sia ancora divisa e quanto il Partito repubblicano sia ostaggio di una frangia estremista e chiassosa.
Ad esempio, quando Biden ha menzionato la crisi del Fentanil presentando un padre che ha perso la figlia per overdose, alcuni repubblicani lo hanno accusato di aver fatto entrare nel paese la droga per una gestione blanda del confine con il Messico – la crisi degli oppiacei è dovuta, piuttosto, a fattori interni – urlando «il confine!» o «è colpa tua!». Durante un passaggio ulteriore Biden ha accusato i repubblicani di minacciare la previdenza sociale e Medicare, provocando le ire dei rappresentanti del GOP. Uno di loro ha gridato «stronzate!» mentre la rappresentante, trumpiana di ferro e qanonista, Marjorie Taylor Greene urlava «bugiardo!».
Biden ha anche esortato il Congresso a fare qualcosa sulla polizia introducendo i genitori, ospiti della first lady, di Tyre Nichols, un Black American ucciso dalle percosse di cinque ufficiali di polizia di Memphis. E proprio la lista degli ospiti di Jill Biden è un esempio ulteriore di come Biden abbia deciso di mettere in atto una strategia di risposta energica nei confronti dei repubblicani. Tra gli ospiti figuravano, infatti, Paul Pelosi – il marito dell’ex speaker Nancy Pelosi recentemente aggredito nella sua casa di San Francisco da un uomo che dava la caccia alla moglie-, studenti, un giovane immigrato in cerca dello status di immigrato legale, una coppia che ha spinto per legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, un sopravvissuto all’Olocausto e una donna che ha avuto problemi durante la gravidanza ma non ha potuto essere aiutata a causa della legge sull’aborto del Texas.
Per un uomo come Biden, considerato da molti un esperto di politica estera e che trascorre gran parte delle sue giornate a cercare di contrastare l’offensiva russa in Ucraina e a contenere le minacce cinesi su Taiwan e il Pacifico, il fatto che la politica estera sia stata largamente assente dal suo discorso può sorprendere. A maggior ragione che questo viene pronunciato dopo uno dei maggiori successi di Biden, cioè la costruzione della coalizione antirussa per l’invasione dell’Ucraina. Ciò è dovuto a molteplici fattori. Innanzitutto, Biden è consapevole della necessità di convincere gli americani che la sua amministrazione stia agendo bene– in ballo ci sono le prossime presidenziali – soprattutto adesso che la Camera è sotto controllo repubblicano. Coerentemente, inoltre, con i discorsi che ha tenuto in passato, il presidente sta cercando di ricostruire un clima di fiducia interno al paese senza il quale, ne è convinto (e con ragione), l’azione e la credibilità degli Stati Uniti nel mondo sarebbero messe in discussione. Non è un caso, infatti, che nel suo discorso Biden abbia affermato che «la democrazia funziona», che la democrazia non solo può superare le autocrazie, ma che lo sta già facendo: «Negli ultimi due anni le democrazie sono diventate più forti, non più deboli. Le autocrazie sono diventate più deboli, non più forti». Mentre in un breve passaggio dedicato alla Cina – dove la vicenda del Pallone spia è stata accennata indirettamente – ha ammonito Pechino e Washington dal rischio di assumere linee dure in politica estera per ragioni di politica interna – la leadership di Xi Jinping negli ultimi mesi è stata in difficoltà sia nella gestione del Covid-19 sia nel ripristinare la crescita economica, cioè la chiave del suo potere. Ciò non ha impedito Biden dal mettere in guardia la Cina: avete visto che se minacciate i nostri confini non ci tireremo indietro, ha affermato il presidente riferendosi alla vicenda del pallone spia.
A tutto ciò è da aggiungere che molti elettori repubblicani si stanno dimostrando scettici rispetto agli aiuti militari ed economici per l’Ucraina – l’affermazione di McCarthy precedentemente riportata sugli «assegni in bianco» va letta in tal senso. Biden deve, quindi, convincere l’elettorato della giustezza di questo impegno. Ma, al contempo, non può puntare tutto sull’impegno dell’America nel mondo. Innanzitutto, perché non è detto che esso abbia il supporto della maggioranza degli statunitensi. In secondo luogo, esso è difficile da vendere all’inizio di un ciclo elettorale, anche perché il contenimento di Cina e Russia potrebbe richiedere molti anni, se non decenni. È bene, quindi, procedere con cautela cercando di securizzarsi sul fronte interno presentando certi piani di spesa, come gli investimenti da 52 miliardi di dollari nei chip, come una produzione strategica sia sul piano del posizionamento di Washington nel mondo, sia per la sua economia.
Infine, molti collaboratori di Biden temono che la storia possa ripetersi: nel 1992 l’allora presidente George H.W. Bush mancò la rielezione nonostante la vittoria, l’anno precedente, nella Guerra del Golfo. Come allora, gli elettori potrebbero essere più preoccupati dallo stato dell’economia che dal contenimento di Mosca e Pechino.
La risposta del GOP è stata affidata alla governatrice dell’Arkansas Sarah Huckabee Sanders, ex press secretary sotto l’amministrazione Trump. Il suo discorso è stata una sponda alla candidatura di Trump per le prossime elezioni (l’ha già annunciata) in cui la governatrice ha ricalcato la retorica trumpiana:
“[Biden] È semplicemente inadatto a servire come comandante in capo. E mentre voi raccogliete le conseguenze dei loro fallimenti, l’amministrazione Biden sembra più interessata alle fantasie woke che alla dura realtà che gli americani affrontano ogni giorno. La maggior parte degli americani vuole semplicemente vivere la propria vita in libertà e pace, ma siamo sotto attacco in una guerra culturale di sinistra che non abbiamo iniziato e che non abbiamo mai voluto combattere.”
Affermazioni che mostrano quanto il cammino verso il superamento di certe divisioni per il rilancio di un’America unita sia ancora impervio e che sono un assaggio degli attacchi che verranno riservati dai repubblicani a Biden e ai democratici.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.