Nel discorso del 21 febbraio Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia sospenderà il trattato New Start, firmato dagli allora presidenti statunitense Barack Obama e russo Dmitrij Medvedev. Il trattato era, in verità, un’eredità della fine della Guerra Fredda perché la sua prima edizione era stata siglata dai presidenti George H. W. Bush e Mikhail Gorbačëv nel 1991. I trattati prevedono dei limiti alla proliferazione degli armamenti nucleari, la loro riduzione e le ispezioni reciproche per verificare che gli accordi fossero mantenuti. 

Il fatto che Putin abbia scelto di sospendere il trattato è un segno di debolezza, ma è anche conforme alla linea adottata da Mosca sin dall’insediamento di Vladimir Putin nel 2000. Ed è coerente con lo stile paranoide del leader del Cremlino. 

Dopo un anno di guerra la Russia non sta riuscendo ad avere successi significativi sul territorio ucraino. Anche la Bielorussia sembra essersi un po’ defilata. Le perdite umane sono tragicamente sempre più alte e in questi mesi abbiamo assistito più volte alle proteste contro la guerra. Un conflitto che sta, inoltre, costando caro alla Federazione Russa, rischiando di aggravare la sua stabilità economica. Persino il leader del gruppo Wagner, Evgenij Prigozhin, si è lamentato di come stanno andando le cose. A tutto questo è da aggiungere che Putin, probabilmente, non si aspettava una risposta coesa dalla NATO – né di rafforzarla e di rilanciarla.

A fronte di tutte queste difficoltà annunciate la sospensione del trattato, in parte già congelato perché erano sospesi i controlli, appare come un tentativo di alzare i toni e di “spaventare” le opinioni pubbliche dei paesi occidentali per ridurre il sostegno che queste possono dare all’Ucraina. D’altro canto, se Putin non fosse in difficoltà non avrebbe avuto bisogno di alzare i toni uscendo dal trattato, chiudendo una porta ulteriore al dialogo con gli Stati Uniti e la coalizione occidentale. Tanto più che la sospensione dal trattato non comporta sostanziali mutamenti nel breve periodo. Costruire delle armi nucleari, infatti, ha un costo e richiede dei tempi che non sono immediati. Per il momento, quindi, questa decisione ha un valore più simbolico. La strategia di Putin ricorda molto la teoria del “fuori di testa” per cui si fa intendere all’avversario (nel nostro caso le opinioni pubbliche) di essere disposti ad un uso asimmetrico e sproporzionato della forza al fine di portarlo a delle trattative – la strategia fu messa a punto dal presidente statunitense Richard Nixon per indurre i vietnamiti al dialogo. Tanto più che in un contesto come quello attuale, in cui la coalizione occidentale è estremamente coesa, paventare il ricorso all’atomica – se non addirittura utilizzarla – comporterebbe una risposta ancora più ferma da parte della NATO e, probabilmente, anche della Cina. Il risultato sarebbe un isolamento ancora più forte della Russia – o altro – e una sua credibile sconfitta.  

Nonostante in Italia sia in voga la vulgata secondo cui la Russia starebbe reagendo all’allargamento della NATO – furono i paesi dell’Est a fare domanda di adesione e più volte la NATO cercò forme di integrazione con la Russia per evitare possibili nuove guerre – Putin ha sempre sostenuto di volere riportare il proprio paese alla grandezza perduta con la «più grande catastrofe geopolitica della storia», cioè la caduta dell’Unione Sovietica. In tal senso, sin dal 2000 Putin ha promosso una rinnovata retorica nazionalista in cui il nemico era e rimaneva l’Occidente e che aveva come perno una lettura conflittuale delle relazioni internazionali. Al contempo ha dato luogo o alimentato conflitti in Cecenia, Georgia, Crimea e Donbass, adottando una politica neocoloniale in Medioriente (Siria) e Africa (Libia, Mali e altri paesi dello Sahel). Putin ha, inoltre, riscritto la dottrina nucleare nel 2000 e nel 2020 per renderla conforme alle nuove esigenze. L’ultima, in particolare, è quella meno restrittiva perché prevede l’impiego dell’atomica anche nei casi in cui la sovranità e l’integrità territoriale della Russia sia in pericolo. L’utilizzo dell’arma sarebbe facilitato dalle armi tattiche con testata nucleare: meno potenti rispetto alle bombe atomiche del passato, ma più facili da usare perché la loro potenza può essere adattata alla situazione e impiegata su missili balistici supersonici come gli Iskander – M operativi nel conflitto ucraino (ma senza testata nucleare). Anche per queste ragioni la sospensione del trattato non rappresenta un sostanziale mutamento rispetto all’utilizzo dell’atomica da parte di Putin che era e rimane una eventualità, seppure lontana. 

La retorica promossa da Putin sin dal 2000 è una retorica paranoica che si è evoluta nel tempo. Se inizialmente vi era il timore che la Russia finisse accerchiata e che si disgregasse, in maniera simile a quanto successo all’Urss, anche a causa di limiti interni, con il tempo questi timori si sono trasformati in una teoria del complotto. Nel suo discorso Putin ha affermato che vi sarebbe un grande progetto neonazista volto ad attaccare e distruggere la Russia come fatto con la Iugoslavia – che è implosa per ben altre ragioni. Visto il contesto di instabilità e di minaccia il leader del Cremlino non avrebbe potuto fare altro che rispondere. Questo stile paranoide è coerente con le teorie del complotto diffuse dal Cremlino nel mondo che si basano sull’idea che vi sia un grande progetto nascosto volto a distruggere la Russia – non è chiaro per quale motivo, ma posso confermare di avere sentito circolare più volte questa teoria tra i complottisti. Per lo storico Richard Hofstadter, che coniò il termine ma in riferimento al contesto politico statunitense, la definizione di paranoico in campo politico sarebbe quella di colui che non vede nel conflitto sociale qualcosa che deve essere mediato e per il quale si debbono fare dei compromessi. La ragione di questa opposizione starebbe nella convinzione che chi non è dalla “nostra parte” è portatore di idee e di azioni che vogliono distruggere il paese dall’interno e dall’esterno. E ciò assomiglia molto a come Putin sta agendo. Nel suo discorso, infatti, Putin ha fatto riferimento alla presenza di pedofili e omosessuali che vogliono distruggere la famiglia tradizionale – quella tra uomo e donna. In tal senso, nel discorso il leader del Cremlino ha attaccato anche il movimento femminista. Donald Trump avrebbe, probabilmente, definito tutto questo come woke culture o come cancel culture. È infatti interessante notare come i due politici diffondano teorie del complotto che, in quanto tali, sono paranoiche e che si basano sull’idea che vi sia una setta di pedofili che minaccia le “nostre” vite – per non parlare degli omosessuali e delle femministe. Del resto, l’invasione dell’Ucraina è nata anche per ciò che essa rappresenta: l’aspirazione di un paese ex membro del blocco sovietico ad essere parte dell’Unione Europea e dei valori che rappresenta – l’occupazione della Crimea e del Donbass è del 2014, quando vi fu Euromaidan. 

Sul lungo periodo la decisione di sospendere il trattato Start muterà il contesto internazionale, a meno che non venga trovato un nuovo accordo. Ma del resto, già l’invasione dell’Ucraina aveva sancito questo mutamento. Un anno dopo l’invasione Putin è più in difficoltà di quanto lui stesso si sarebbe aspettato, ma anche molto più paranoico. 

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