Donald Trump è il primo presidente nella storia americana ad essere incriminato. Si è rotto un tabù, come sottolineano diversi commentatori, perché si è dimostrato che neanche un ex presidente può essere al di sopra della legge. Un segnale forte della democrazia americana, dicono altri, anche nel contesto internazionale dove manda un segnale: l’America è resiliente, l’America rispetta le leggi e cerca di mettersi alle spalle quella che forse è stata la più disastrosa delle presidenze. Rimanendo nell’ambito giudiziario, Trump ha subito due impeachment e sta affrontando altri processi che potrebbero portare ad ulteriori incriminazioni anche più gravi rispetto a quella della procura di Manhattan. Ma è veramente come appare? Oppure la realtà è più sfumata?
Prima di tutto un confronto brevissimo con la storia: altri presidenti avrebbero potuto essere incriminati (Richard Nixon, giusto per citarne uno), ma si ritirarono dalla politica per far sì che il paese potesse “mettersi alle spalle” il periodo. Nel caso di Trump questo non è avvenuto: ciò a cui assistiamo non è una persecuzione democratica nei confronti dell’ex presidente, ma una reiterata azione di attacco alle istituzioni repubblicane, alle sue prassi, leggi e consuetudini da parte di Donald Trump.
Le accuse e come funziona il processo giudiziario negli Stati Uniti. Trump è stato incriminato da un grand jury, composto da ventitré cittadini, che lo accusa di aver versato una cifra cospicua alla pornostar Stormy Daniels per non far trapelare la relazione che i due avrebbero avuto prima della candidatura alla presidenza nel 2016 – la cifra sarebbe stata versata prima delle presidenziali di quell’anno. Il grand jury è arrivato alla decisione, per cui serve la maggioranza, dopo un processo a porte chiuse in cui i prosecutors hanno portato prove e testimonianze a sostegno dell’incriminazione di Donald Trump. Alla fine del processo, come da prassi, i prosecutors hanno chiesto al grand jury di procedere con l’incriminazione che, in questo caso, è arrivata. I capi di accusa non sono ancora stati resi pubblici: generalmente vengono divulgati quando arrivano alla corte che dovrà istituire il processo vero e proprio, oppure quando il defendant, in questo caso Trump, si presenta per la prima volta davanti alla corte. Probabilmente Trump si presenterà spontaneamente il 6 aprile, dopo di che si dovrà attendere l’esito del processo.
Chi è il pubblico ministero che ha sporto denuncia contro Trump?
Il procuratore distrettuale della contea di New York Alvin Bragg è un democratico: è stato eletto procuratore distrettuale di Manhattan nel novembre 2021. Bragg ha ereditato l’indagine su Trump dal suo predecessore, Cyrus Vance Jr. Proprio l’affiliazione politica di Bragg rappresenta un primo ostacolo. All’interno del Partito repubblicano si sono levate molte voci, compresa quella dell’ex vicepresidente Mike Pence, secondo cui il processo avrebbe un intento politico. Che una parte del Partito si sarebbe mossa contro l’incriminazione era scontato. Il problema sta nella politicizzazione della polemica che rischia di alimentare teorie complottiste secondo cui i democratici starebbero facendo di tutto pur di bloccare la corsa alla Casa Bianca di Trump. Da qui all’affermare che sarebbe in atto una sorta di colpo di Stato o un sovvertimento delle regole il passo è breve. In tal senso, l’idea che l’incriminazione sia un buon segnale rimane, ma dovremo vedere le ricadute e queste dipenderanno da una molteplicità di fattori: come evolverà il processo e, di conseguenza, come il Partito repubblicano e i suoi elettori reagiranno.
Un problema ulteriore riguarda il fatto che Trump è stato incriminato da una giuria “locale”, non dal Dipartimento di Giustizia – una incriminazione anche da parte di quest’ultimo è probabile, ma per ovvie ragioni il Dipartimento è cauto e cerca di avere una posizione più forte possibile. Da un lato, questo può rafforzare la tesi del “complotto”, dall’altro apre a tutta una serie di altre questioni. Innanzitutto, come precedente potrebbe rendere più facile ai pubblici ministeri di Georgia e Washington, che seguono gli altri possibili casi di incriminazione verso l’ex presidente, proseguire con l’incriminazione di Trump con capi di accusa ben più gravi senza dover sopportare l’onere di giustificare un’azione che non era mai stata intrapresa prima.
Il problema sta nelle conseguenze a lungo termine – soprattutto alla luce della forte polarizzazione statunitense – sul rapporto tra presidenza, pubblici ministeri locali e Dipartimento di giustizia perché apre le porte ai pubblici ministeri di tutto il paese all’avvio di processi verso ex presidenti o presidenti in carica per ragioni politiche – anche se nel caso di un presidente in carica la faccenda è più complessa, perché serve il processo di impeachment. A livello di pratiche giudiziarie tutto questo è, comunque la si metta, una novità.
La realtà è più sfumata e complessa di quello che potrebbe apparire, nonostante l’incriminazione sia un segnale forte e giusto. Fino ad ora la democrazia americana ha dimostrato di essere resiliente, che la crisi non riguarda le istituzioni in sé per sé, ma chi la compone – i cittadini, e qui si dovrebbe aprire una riflessione sulle guerre culturali e il tema della narrazione (storica e politica) nazionale. Ma tutto dipenderà da come questo processo – e quelli che potrebbero seguire – evolveranno e da come la società statunitense reagirà.
Due brevi risposte a due domande che molti si stanno ponendo
Trump potrebbe andare in prigione?
Dipende dai capi di accusa, ma anche dalla condanna. L’accusa di falsificazione di documenti aziendali per coprire il pagamento a Stormy Daniels potrebbe essere una violazione del finanziamento della campagna elettorale. Considerando che le condanne variano caso per caso e che è insolito che una persona senza precedenti penali venga condannata a un lungo periodo di reclusione – in questo caso un massimo di quattro anni – per un reato non violento non è scontato che Trump possa essere condannato, ma senza poi passare del tempo in prigione.
Trump può ancora candidarsi alla presidenza nel 2024?
Eugene Debs, celebre candidato del Partito socialista, fece la sua campagna presidenziale del 2020 in prigione. Certo, non è mai accaduto prima che il candidato di un grande partito si candidasse mentre era in carcere o sotto accusa, ma le regole non impediranno a Trump di correre per la presidenza. Piuttosto, si dovrà valutare l’impatto sull’organizzazione della campagna e l’impatto sull’elettorato. Nel primo caso complicherebbe la già difficile logistica della campagna presidenziale che dovrebbe coordinarsi con il processo penale; nel secondo caso potrebbe aiutare Trump a imporsi ancora di più come figura dominante all’interno del suo Partito, ma potrebbe anche danneggiarlo.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.