15 agosto 2007, da poco sono passate le due a Duisburg, città tedesca del Nord Reno – Westfalia. Sebastiano Strangio, trentanovenne cuoco di origini calabresi, sta chiudendo il suo ristorante, “Da Bruno”. Insieme a lui ci sono due camerieri e tre amici. I sei sono tutti calabresi. E, per dirla con una sentenza della Cassazione del giugno 2016 ,sono «ritenuti affiliati o comunque vicini» al clan Pelle-Vottari di San Luca.

Stanno per tornare a casa. Ma appena entrano nelle macchine parcheggiate a qualche decina di metri dal ristorante vengono raggiunti e stroncati dal fuoco incrociato di due pistole. In pochi secondi vengono esplosi 54 colpi: nessuno si salva. 

Il giorno seguente sui giornali di tutta Europa non si parla d’altro. La strage di Duisburg è un evento eclatante. “Con la strage di Ferragosto nella città tedesca – come ha notato la Commissione Parlamentare antimafia della XV legislatura – “la Germania e l’Europa scoprono attoniti la micidiale potenza di fuoco e l’enorme potenzialità criminale di una mafia proveniente dalle profondità remote e inaccessibili di un mondo rurale e arcaico”: la ‘ndrangheta.

Da quel momento i cittadini europei scoprono (con grave ritardo) che una potente organizzazione è capace di colpire a distanza, di mandare alcuni uomini provenienti da San Luca – una delle enclavi ‘ndranghetiste più note – nel cuore della Germania. Gli investigatori tedeschi e l’opinione pubblica rimasero colpiti da due particolari della strage. Determinazione e professionalità degli assassini (scomparvero subito dopo aver “completato il lavoro”); e soprattutto il ritrovamento di un santino bruciato – che sta a indicare una recente affiliazione rituale – nelle tasche di uno degli assassinati. Lo stupore non deve trarre in inganno. Vi erano già dei segni premonitori di quello che sarebbe potuto accadere. Secondo l’ex presidente della Commissione Antimafia Francesco Forgione, “quello che è successo a Duisburg è un indicatore metaforico della sottovalutazione da parte delle autorità tedesche della ‘ndrangheta e del suo grado di penetrazione e radicamento in quel Paese, oltre che in Europa e nel resto del mondo”[1].  La presenza ‘ndranghetista in Germania risaliva perlomeno agli anni ‘70 – 80 del secolo scorso, quando a più riprese era stata rilevata la presenza di alcune famiglie calabresi. Tutto ciò era ben noto alle autorità tedesche, anche per le richieste di assistenza giudiziaria e investigativa che provenivano dalla magistratura italiana.

Inoltre, nel 2001 un’indagine dei Carabinieri denominata “Luca’s”[2] aveva già segnalato alle autorità tedesche il ristorante “Da Bruno”, davanti al quale è stata commessa la strage, e il cospicuo fenomeno del riciclaggio di denaro sporco nel settore della ristorazione. Una segnalazione che non produsse alcun risultato a livello investigativo. L’atteggiamento passivo delle autorità tedesche (oltre a evidenziare le carenze della legislazione tedesca sul contrasto alle mafie) è un atteggiamento di rimozione del problema, considerato, in maniera più o meno inconsapevole, affare dei “mangiaspaghetti”. Un affare italiano, cioè nostro.

La strage di Duisburg ha rotto un tabù: l’ndrangheta non riguarda soltanto l’Italia. Il velo dell’indifferenza in Europa è stato rotto. Ma persiste il problema del contrasto alla ‘ndrangheta. La grande difficoltà è quella di perseguire reati di criminalità organizzata sempre più transnazionali, in presenza di legislazioni diverse, che comportano una faticosa armonizzazione a suon di articoli e codici. La maggior parte dei paesi europei, a differenza dell’Italia e degli Stati Uniti, non ha un reato che punisca l’associazione e l’appartenenza ai clan mafiosi. In Europa abbiamo dal 2002 il mandato di arresto europeo , che rappresenta un passo in avanti nella trasmissione degli atti tra paesi differenti. Ma in molti casi il coordinamento tra polizie e magistrature dei diversi Stati risulta ancora complesso e difficile. Secondo Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro e già titolare delle indagini sulla strage di Duisburg, le mafie vedono l’Europa come una grande prateria “dove chiunque può andare a pascolare”.  

La “scoperta” della ‘ndrangheta è avvenuta più di dieci anni fa, a Duisburg. L’Europa non può stare ancora a guardare, deve impedire che le sue “praterie” vengano saccheggiate e derubate da un “gregge” variegato e composito: quello delle mafie.


[1] Francesco Forgione, ‘Ndrangheta. Boss luoghi e affari della mafia più potente al mondo, Roma, Baldini Castoldi Editore, p. 12.

[2] Ibid., p. 13.

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