Parlare di identità europea è rischioso in quanto il concetto di identità è illusorio ed artificiale.[1] Dunque, anziché cercare presunte identità europee che si contrappongono a quelle nazionali che, per quanto false anch’esse sono comunque credibili per i più, ritengo sia maggiormente opportuno individuare un’identità europea nella non identità dell’eterogeneità. Un paradosso che preserverebbe le ricchezze culturali a livello regionale depotenziando, inoltre, la carica disgregatrice delle istanze nazionalistiche che temono la perdita delle identità nazionali. Puntando sulla diversità l’Europa farebbe inoltre un salto nel futuro: il mondo è e sarà inevitabilmente sempre più integrato, di conseguenza è necessario sviluppare sistemi politici e sociali che non solo siano inclusivi, ma che garantiscano e valorizzino l’eterogeneità.
Lo scrittore spagnolo Javier Cercas ha ben sintetizzato la concezione europea diffusa oggi in un articolo apparso su “La Repubblica” il 6 maggio 2018: «so che per molta gente, forse soprattutto per molti giovani, l’Europa si identifica con l’Unione Europea, e che oggi l’Unione Europea si identifica, nel peggiore dei casi, con un’unione sgranata e improbabile di paesi con tanto passato e scarso futuro, e, nel migliore dei casi, con un ente sovranazionale, freddo, astratto e distante chiamato Bruxelles, che non si sa con certezza a che cosa serva tranne che a dare lavoro a mucchi di grigi burocrati e a far si che i politici populisti dell’intero continente gli diano la colpa di tutto ciò che di male accade nei loro rispettivi paesi».
Nonostante i grandi passi avanti la maggior parte dei cittadini non conoscono il funzionamento degli organismi europei, né beneficiano delle possibilità che l’Unione offre loro – quali, ad esempio, finanziamenti alle imprese, l’Erasmus, l’Interrail. In questo senso vi è anche un problema culturale: il nazionalismo si annida là dove risiede l’insoddisfazione di chi non riesce ad orientarsi nel mondo. È dunque necessaria un’operazione di educazione all’essere cittadini europei attraverso progetti che coinvolgano anche chi cittadino europeo non si sente perché rimasto escluso. È necessario creare case editrici, giornali, radio e televisioni europee, aspetti da cui passa la formazione del cittadino ma anche dell’intellettuale. L’Europa è fino ad ora rimasta soprattutto una prerogativa di pochi. Accanto a ciò deve essere avviato un programma politico che integri maggiormente i paesi dell’eurozona creando delle vere e proprie elezioni europee, con candidati che non rappresentino solo il proprio paese, ma che siano eletti come parlamentari europei e quindi con una competizione che coinvolga tutti gli Stati dell’Unione.
A ciò sarebbe necessario affiancare un progressivo trasferimento a livello europeo dello stato repubblicano e dei suoi attributi di sovranità. Ciò è in parte il progetto del presidente francese Emmanuel Macron, progetto che rimane gollista nella misura in cui l’Europa è concepita come proiezione di potenza dello Stato, ma che a differenza di De Gaulle vuol trovare collocazione alle istanze sovrane degli altri paesi europei.[2] Il problema è che un simile progetto riscontra una serie di limiti. La Germania è restia a cedere sovranità e come ricorda la dichiarazione congiunta del 6 marzo 2018 di Finlandia, Irlanda, Olanda, le tre repubbliche baltiche, Svezia e Danimarca questi paesi sono contrari ai progetti federativi auspicati da Macron nel discorso alla Sorbona del 2017.[3] Ciò segnala la presenza di un compatto blocco di minoranza in grado di frenare una riforma dell’Unione in senso federale. Problema cui va aggiunto quello dei paesi Visegrad e dell’incapacità dei paesi latini – Francia, Italia, Spagna, Portogallo – di parlare con unica voce.[4] In questa incapacità sta la debolezza, a tratti visibile a tratti nascosta, dell’Unione Europea e degli Stati che la compongono: la forza dei singoli Stati membri non è più sufficiente ad affrontare i problemi odierni ed ancora l’Unione non è in grado di sopperire a tale inefficacia. Condizione, quest’ultima, che allo stato attuale inficia la sovranità dei singoli Stati che non sono in grado di gestire le difficoltà che li riguardano, la cui soluzione non può quindi che passare attraverso la creazione di una sovranità europea. Tanto più che il quadro mondiale sta rimodellandosi individuando potenze regionali in grado di garantire il mantenimento dell’ordine globale.[5]
L’articolo di Cercas sottolinea un aspetto ulteriore: la propensione ad identificare l’Unione con l’Europa. È vero che le due possono essere coincidenti, ma sono anche due cose differenti. L’Europa è un continente, ma è anzitutto un’idea di un insieme di Stati, quindi di individui, che tentano di convivere evitando d’essere belligeranti tra di loro, cercando di integrarsi il più possibile sfruttando ciò che hanno in comune ma anche ciò che non lo è. L’Unione è il risultato di questa idea, ancora in fase di costruzione, e questo è ciò che intendo con Europa.
[1] Cfr. il volume di Adriano Prosperi, Identità. L’altra faccia della storia, Bari, Laterza, 2016.
[2] Fabrizio Maronta, L’Europa sovrana secondo Macron, in “Limes”, N.3, marzo 2018, La Francia Mondiale, pp. 117-125.
[3] Ibid.
[4] Ulysse Lojkine, Baptiste Roger-Lacan, Gilles Gressani, Sofia Scialoja, Una certa idea dell’Unione Europea, in “Limes”, N.3, marzo 2018, La Francia Mondiale, pp. 97-105.
[5] Joseph Jr. Nye, Fine del Secolo Americano?, Bologna, Il Mulino, 2016, cap. 3, 4 e 6.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.