A cavallo tra gennaio e febbraio 2020 un nuovo ceppo virale – il coronavirus – ha fatto la sua comparsa in Italia, causando migliaia di contagi in poche settimane.
Nonostante la pianificazione delle scelte affidandosi alla logica, le emozioni giocano un ruolo fondamentale nella nostra psiche potendo arrivare a stravolgere i nostri piani.
Nei casi di difficoltà dovuti ad imprevisti o ad eventi eccezionali, come stiamo vivendo in questi giorni, è la paura, emozione primaria, fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Quindi ben venga percepire paura, perché ciò ci attiva.
Ma come ogni emozione, se non la si riesce a gestire, ad esempio percependo il coronavirus come un pericolo inarrestabile, il rischio è di cadere in comportamenti impulsivi, frenetici e irrazionali con rischio di dar luogo ad azioni controproducenti. Qui si passa spesso al panico o all’ansia, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante.
La nostra psiche non è in grado di sopportare situazioni di allerta o tensione troppo a lungo: tanto più che spesso accade di stazionare in situazioni stressanti continuativamente.
In alcuni soggetti può spesso portare a un senso di ipocondria, intesa come tendenza a eccessiva preoccupazione per il proprio stato di salute percependo ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione o malattia, ad esempio da coronavirus.
In alcuni casi, fortunatamente limitati, vi è, inoltre, un’accentuata espressione d’odio sui presunti “untori” stranieri o italiani alla ricerca di un presunto colpevole, meglio se lontano, da sé e dal proprio gruppo sociale.
Una limitata dose di paura e allerta sono necessarie, anzi fondamentali per potersi attivare senza perdere di lucidità, purché se ben sfruttate, anche per seguire poche ma preziose indicazioni delle autorità sanitarie: il limite fra una funzionale attivazione e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti è infatti sottile.
L’importante è capire “chi sta controllando che cosa”, come nelle dipendenze: sono ancora io a gestire e scegliere cosa fare, o sto attuando comportamenti seguendo una massa di persone che sta facendo proprio quello che andrebbe razionalmente evitato?
Ad esempio, nessuna autorità sanitaria ha consigliato di affollare i supermercati per rifornirsi ossessivamente di scorte alimentari, eppure questa “psicosi” si è diffusa portando a molteplici effetti negativi, come concentrare parecchie persone in spazi chiusi con la possibilità di favorire la diffusione del virus oppure far mancare certi alimenti a chi non era corso subito al supermercato.
Altro esempio è la corsa ad accaparrarsi le mascherine, scelta non logica ma emotiva perché non tutte le mascherine servono in ogni contesto: il risultato finale, è che le mascherine sono venute a mancare per i malati per i quali sono più utili per limitare il contagio.
Anche gli episodi di odio verso gli “untori”, oltre a essere vergognosi dal punto di vista etico e morale, hanno provocato esattamente l’effetto opposto: il povero “untore” ferito, finito necessariamente al Pronto Soccorso, avrebbe così solo aumentato la possibilità di infettare gli altri.
Preoccuparsi agitandosi e alla fine attuando comportamenti irrazionali e controproducenti non serve. Meglio occuparsi con serietà del problema: le autorità sanitarie, che hanno preso in carico seriamente la vicenda fin dall’inizio in Italia, hanno dato poche, chiare e semplice regole da seguire.
Ognuno di noi dovrebbe chiedersi: sto anche oggi, in questo momento, seguendo le indicazioni che mi hanno suggerito? Come ad esempio lavarsi le mani frequentemente, non toccare bocca e occhi prima di essersi igienizzati, non andare al Pronto Soccorso ma chiamare il numero dedicato nel caso di sintomi sospetti, rispettare le quarantene, ecc.
La “percezione del rischio” può essere distorta e amplificata sino a portare a condizioni di panico che non solo sono quasi sempre del tutto ingiustificate ma aumentano il rischio perché portano a comportamenti meno razionali e ad un abbassamento delle difese, anche biologiche, dell’organismo.
E’ bene quindi affidarsi ai dati e alla comunicazione diffuse dalle autorità pubbliche e alle indicazioni di cautela e prevenzione in essa contenute. Ad esempio:
– Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus
– Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/
Non cercare di placare l’ansia inseguendo informazioni spesso amplificate ed incontrollate.
Ricordare, inoltre, che l’eventuale esposizione al virus non è sinonimo di malattia, che la contagiosità non equivale alla reale pericolosità per la salute umana, che esistono indicazioni pratiche per ridurre il pericolo. Che avere timori e paure è normale ma non ansia generalizzata, angoscia o panico: non aiutano e sono controproducenti.
Un atteggiamento psicologico valido può aiutare non solo chi lo attua ma anche gli altri, innescando un circuito virtuoso, e aumentando il “quoziente di resilienza” dei singoli, della famiglia, della comunità, così che ognuno faccia la propria parte.
Fonti: Consiglio Nazionale Ordine degli Psicologi; Sanavio,Cornoldi, Psicologia Clinica, il Mulino, Bologna, 2001, Atkinson & Hilgard’s Introduzione alla psicologia, Piccin, 2011; CattolicaNews, Emanuela Gazzotti, 25 febbraio 2020.

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Sono nato a Pontedera nel 1993, mi sono laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche all’Università degli Studi di Padova approfondendo il tema dei disturbi di apprendimento e della salute mentale. Lavorando come Tutor di studio.
Attualmente sto studiando Psicologia Clinica e della Salute e Neuropsicologia all’Università di Firenze.
Dal 2010 ho iniziato a fare il blogger e ho avuto l’opportunità di scrivere e collaborare con molti blog e siti internet; Dal 2018 sono un Educatore che si occupa di apprendimenti.