L’Italia è un paese sempre più vecchio. È quanto emerge dal rapporto annuale dell’Istat sugli indici demografici del nostro paese secondo cui il divario tra nascite e decessi è aumentato: per 100 persone decedute nascono 67 bambini, a fronte di un dato, quello delle nascite, che dieci anni fa era di 96. Numeri che si riferiscono principalmente a chi possiede la cittadinanza italiana e che non tiene di conto degli immigrati che non sono ancora stati naturalizzati. Il numero degli stranieri è anche questo in calo ma ciò nonostante fornisce un notevole contributo alle nascite, sempre secondo il rapporto Istat.

Ad aggravare il quadro è la constatazione che, per il quinto anno consecutivo, calano nel paese i residenti che ammontano a 60 milioni 317 mila, 116 mila in meno su base annua. La prospettiva di vita, fortunatamente, aumenta ma con essa anche il numero di anziani presenti in Italia.

Come spesso accade i commenti sui rapporti annuali dell’Istat relativi ai dati demografici suscitano numerose polemiche, cui seguono ben poche proposte (e riflessioni) concrete.

Non necessariamente un paese dall’alta natalità è un paese che gode di ottima salute: è infatti il giusto equilibrio nel rapporto tra nascite e decessi, tra residenti ed emigrati, ciò di cui ha bisogno un paese. Spesso, inoltre, nei paesi cosiddetti “sviluppati”, il tasso di natalità è basso, eccezione fatta per la Francia.

Agli inizi degli anni duemila, infatti, la Francia ha avuto un boom delle nascite e mantiene tutt’ora un ottimo rapporto tra decessi e nascite. Questo risultato è frutto di molteplici fattori: è, innanzitutto, frutto di una tendenza di medio – lungo periodo; vi influiscono positivamente il numero di immigrati presenti nel paese, che contribuiscono a mantenere il rapporto decessi/nascite positivo; infine, ma non meno importante, è frutto di politiche lungimiranti che hanno saputo creare le condizioni affinché i francesi potessero più facilmente fare figli: asili nido gratuiti, sussidi, borse di studio, maternità e paternità, detrazioni fiscali, ciò che quindi comprende gran parte del welfare. Ciò nonostante alcuni problemi si affacciano anche in Francia.

 Nonostante il sistema di welfare francese sia tra i migliori d’Europa, consentendo a 5 milioni di persone di fuggire dalla povertà, vi sono delle crepe nella capacità di assorbimento e gestione del numero dei francesi che ne richiedono i servizi e ciò è testimoniato dai fenomeni di precarietà studentesca che sono in aumento.

Ciò che, comunque, la Francia ha da insegnare è che il rapporto equilibrato tra decessi e nascite lo si ottiene creando i presupposti per un incremento demografico, quindi con degli investimenti statali, l’inclusione degli immigrati che sono concepiti come valore per il paese, con il sostegno ad un ambiente sociale favorevole alla progettazione per il futuro. La lezione implicita, invece, è che è necessario considerare le conseguenze e l’impatto che l’aumentato numero di futuri giovani avranno sulla società e sul bilancio dello Stato.

L’Italia è un paese in cui, nonostante in molte regioni il sistema di welfare sia a buoni livelli, lo Stato e la società non garantiscono ai giovani la possibilità di far figli. Poco tutelate, ancora, sono le donne le quali spesso devono scegliere tra avere un figlio e la carriera. I congedi per i figli sono insufficienti, così come il numero di posti disponibili negli asili pubblici; le borse di studio non sono ancora sufficienti ed equilibrate nelle varie regioni in modo da potere garantire un equo accesso allo studio per tutti.

Fare figli nel nostro paese è, insomma, difficile perché vi sono scarse garanzie sul futuro.

L’impossibilità di poter progettare, in maniera concreta e sicura, il futuro è il principale motivo che spinge molti giovani italiani ad emigrare. Ad oggi più del 50% dei giovani tra i 18 ed i 35 anni, quindi chi potrebbe fare figli, vive all’estero – ed i cervelli in fuga sono solo una minoranza, dovuta certamente anche al fatto che l’Italia è il paese con il tasso di laureati tra i più bassi dell’eurozona. Non solo: il numero di giovani europei che scelgono di abitare o studiare in Italia è anch’esso tra i più negativi per le stesse ragioni che portano molti di noi ad emigrare.

La considerazione sul rapporto Istat riguarda quindi un paese caratterizzato da un contesto sociale e politico asfissiante che non consente di intravedere un orizzonte di speranze e che non permette di progettare, concretamente e su basi solide, il proprio futuro e quello dei (possibili) figli. Ma è anche la fotografia di un paese provinciale e campanilista che si rifiuta di vedere in ciò che non è «italiano» un possibile valore aggiunto e che, pertanto, condanna il dinamismo e il rinnovamento che stanno alla base dei progetti dei più giovani a trovare un’altra casa.

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