Tulsa, Oklahoma, 2003: all’interno di un’imponente mole di fogli, disegni, manoscritti e appunti Nora Guthrie, la figlia del celebre cantante folk statunitense Woody Guthrie, rinviene una serie di canzoni del padre che trattano di temi ebraici, scritte tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Fu una scoperta importante perché contribuì a consolidare la conoscenza del rapporto di Guthrie con la religione e la cultura ebraica, una relazione che fu molto profonda ma che è stata a lungo sottostimata dalla ricerca.

Woody Guthrie (1912 – 1967) è stato uno dei più importanti cantanti folk statunitensi: la sua This Land is Your Land, ad esempio, è una sorta di inno non ufficiale degli Stati Uniti; nei tempi più recenti è stata cantata da Jennifer Lopez durante la cerimonia di insediamento di Joe Biden, ma già Bruce Springsteen e Pete Seeger l’avevano cantata nel 2008, in occasione dell’insediamento di Obama –volendo si può risalire anche ad un giovanissimo Bernie Sanders che nel 1988 ne registrava una versione per autofinanziare la sua campagna elettorale. Guthrie dedicò gran parte della sua vita e della sua opera al sindacalismo nel solco della tradizione degli Industrial Workers of the World, sindacato anarcocomunista fondato nel 1905 e che pubblicò il Little Red Songbook (1909), punto di ispirazione per i folk singer della generazione di Woody. Egli fu, inoltre, membro del Partito comunista statunitense, un’adesione frutto della sua visione sindacalista e popolare, sempre vicina alle classi subalterne che fossero gli oakies, i migranti delle Dust Bowl degli anni Trenta, i contadini espropriati dai grandi latifondisti, gli operai ed i lavoratori in generale fino ad arrivare alle donne e agli afroamericani – la lotta per i diritti civili fu, infatti, uno dei capisaldi della sua attività politica e artistica – e all’antifascismo.

La famiglia di Guthrie non era di origini ebraiche, anzi il padre era stato un membro del Ku Klux Klan, organizzazione suprematista bianca e violenta che fu ed è anche antisemita, e nel 1911 prese parte al linciaggio di Laura e Lawrence Nelson, rispettivamente madre e figlio, che si concluse con l’impiccagione dei due afroamericani. Woody Guthrie si avvicinò all’ebraismo grazie alla seconda moglie, Marjorie Mazia, conosciuta nel 1942, e alla madre di lei: Aliza Greenblatt (1888 – 1975), all’epoca una stimata poetessa ebrea e socialista famosa per i suoi versi in yiddish – vi sono, peraltro, delle similarità tra alcune poesie della Greenblatt pubblicate alla fine dei Quaranta e alcune delle canzoni ebraiche di Woody. Ma fu soprattutto a Coney Island, nella zona ebraica di New York, dove la coppia Guthrie – Greenblatt si era trasferita dopo il matrimonio nel 1945 che il folk singer produsse la maggior parte dei testi che si legano all’ebraismo. Un esempio è il racconto poetico Rosh Hashanah, contenuto nella raccolta Born to Win (1965), di cui non si conosce la data ma che fu scritto probabilmente nel 1945. Lo spunto del testo è un episodio legato alla quotidianità –  Guthrie si trovava in fila, a causa del razionamento bellico, per comprare il necessario per la celebrazione del capodanno ebraico – da cui l’autore trae lo slancio necessario per cantare di un’America che riesce ad abbattere le barriere razziali. Una speranza che si riscontra anche in altri testi dell’epoca e che talvolta ebbe come bersaglio il razzismo di Fred Trump, padre dell’ex presidente, padrone di molte delle palazzine costruite a Coney Island, tra cui quella in Marmaid Avenue dove viveva la coppia Guthrie – Mazia.

La maggior parte dei testi e delle canzoni ebraiche di Woody Guthrie, comunque, furono scritte negli anni Quaranta. In particolare le canzoni che hanno come tema la festività dell’Hanukkah furono composte, per la maggior parte, nel novembre del 1949 per essere suonate in alcuni centri ebraici a dicembre dello stesso anno. Il fatto che questi componimenti siano stati scritti negli anni Quaranta non è casuale. Questo decennio, infatti, vide un forte attivismo musicale da parte degli ebrei americani, frutto sia della fine della guerra che di un diverso modo di intendere la religiosità e le festività, in particolare quelle di dicembre come l’Hanukkah. Si tratta spesso di canzoni che sono entrate nel patrimonio culturale statunitense (e non solo): White Christmas (1942) di Irving Berlin, Let It Snow! Let It Snow! Let It Snow! (1945) di Sammy Chan e Jule Styne, The Christmas Song (1945) di Robert Wells e Mel Tormé sono solo alcuni degli esempi che possono essere fatti. Secondo Nora Guthrie nonostante Woody non fosse di confessione ebraica può, in una certa misura, essere inserito anche in questo filone grazie alle canzoni sull’Hanukkah. Si tratta di un paragone complesso, pur se giusto, specialmente se si pensa che Guthrie scrisse nel 1940 This Land is Your Land in reazione a God Bless America (1938) di Berlin. Paragonando i due testi si è in effetti di fronte a due Americhe differenti. La canzone di Irving Berlin è un elogio dell’America, privo di elementi di radicalità o conflittualità politico – sociale che invece in quegli anni erano ben presenti negli Stati Uniti. This Land is Your Land invece descrive un paese povero ed in cui i lavoratori subiscono le angherie dei padroni e dei potenti, criticando anche la proprietà privata. Ma God Bless America, come nota il professor Arnaldo Testi, è anche la canzone di un immigrato ebreo che vede stagliarsi all’orizzonte delle nubi minacciose (il nazismo) e che ringrazia per essere approdato negli Stati Uniti. La critica ai regimi nazista e fascista è un aspetto in comune con molti dei componimenti di Guthrie dell’epoca e, pertanto, entrambi gli autori rientrano nello sforzo contro il nazi – fascismo che allora animava molti artisti e che trova in forme diverse di esaltazione del proprio paese – si pensi all’elogio naturalistico di This Land is Your Land – un ulteriore punto in comune. La stessa Aliza Greenblatt venne coinvolta da Guthrie nell’impegno propagandistico della Seconda Guerra Mondiale, scrivendo uno dei suoi rari componimenti in inglese, I Gave My Son, nella speranza che potesse essere usato a fini propagandistici – una speranza vana perché il testo non venne mai utilizzato da parte del governo.

Secondo alcune ricerche altri testi di Guthrie dedicati all’Hanukkah sarebbero stati parte di un progetto sviluppato assieme al produttore musicale Moses Asch, figlio dello scrittore yiddish Sholem Asch (queste canzoni sono state rinvenute da Nora nel 1989), per il quale effettivamente registrò due pezzi nel 1949: Hanukkah Dance, un pezzo per bambini probabilmente scritto per la figlia Cathy, e la famosa The Many and the Few. Quest’ultima prende spunto dal Decreto di Ciro (538 a.C.), che consentì agli ebrei di ritornare a Gerusalemme, e prosegue con il racconto di Ezdra che riceve la Torah per riportarne a conoscenza il popolo ebraico; la canzone narra poi la storia di Anna e dei suoi sette figli, i Maccabei, le vittorie militari di Giuda e il ritorno al tempio, concludendosi con una riflessione che unisce la storia con gli avvenimenti più recenti, tra cui un probabile accenno al sionismo (Back to Eretz Yisroel’s land/ We worked with plow and rake and hoe/ And we blessed the works of our hands; la Greenblatt, peraltro, era sionista). The Many and the Few rispecchia pienamente l’idea che Guthrie aveva sulla canzoni: raccontare una storia che sottolineasse l’appartenenza ad un qualcosa di più grande al fine di trarne lo slancio necessario per affrontare le situazioni più tragiche e dure, come l’Olocausto. Come ha sottolineato Nora Guthrie, infatti, il legame tra Woody Guthrie e l’ebraismo era «molto politico, molto sociale». Guthrie vedeva negli immigrati ebrei dall’Est Europa dei compagni naturali degli oakies ed in generale di tutte quelle persone che, per una ragione o per un’altra, dovevano lasciare la propria casa o vivere miseramente a causa del razzismo, del capitalismo o dell’antisemitismo – o di tutti questi motivi insieme. Durante la Seconda Guerra Mondiale tale visione si inseriva in quella più ampia che Guthrie aveva sviluppato sulle ragioni del conflitto: la creazione di un mondo in cui ogni persona, indipendentemente dalla razza o dalla confessione, potesse vivere e lavorare serenamente, senza più dovere essere in condizioni di povertà o sfruttamento. Come scrisse a Marjorie Mazia nel 1943:

“[This was] the war that’s going to give not only Jewish, but Irish, Negro, Catholic, Protestant, Italians, Mexicans, Hindus, Indiands, everybody of every race and color, an equal place to work and live equal, under the sun. […] The what would settle the score once and for all, of all kinds of race – hate. […] Give everybody their job doing what they can do best, time for learning, time for rest, and time for fun and singing: nobody can push a man off of a farm, and nobody can make a family live like rats in a filthy dump; nobody can toss a family of kids out onto the streets for the rent.”

Al termine della Seconda Guerra Mondiale l’idealismo di Woody Guthrie si scontrò con una realtà molto diversa rispetto a quella che aveva immaginato. Gli scritti dell’immediato dopoguerra svelano infatti una forte disillusione di Woody nei confronti non solo degli Stati Uniti, ma anche del sacrificio compiuto. Egli non rinnegava l’intervento contro il nazifascismo, tutt’altro, ma criticava aspramente gli Stati Uniti della presidenza Truman: la persecuzione dei comunisti che sfociò nel maccartismo, l’espulsione di questi dai sindacati e l’impossibilità di avere un mondo sindacalizzato – anche a causa della legge Taft – Hartley del 1947 che limitava l’azione dei sindacati, esortandoli inoltre ad espellere i comunisti – ma anche la censura sessuale e, soprattutto, il persistere del razzismo e della segregazione razziale. Quelle di Guthrie erano canzoni che colpivano duramente per persone colpite duramente, come ebbe a dire il musicologo Alan Lomax, una frase che ben riassume lo stato d’animo del folk singer nel dopoguerra. Particolarmente amara e profonda in tal senso è Ilsa Koch (senza data). La canzone, il cui titolo prende il nome dalla moglie (1906 – 1967) del comandantedel campo di Buchenwald (1937 – 1941) e di Majdanek (1941 – 1943) Karl Otto Koch, è infatti una delle manifestazioni più forti per la delusione legata al fallimento delle speranze di Guthrie per la guerra.

Il processo di Dachau (1947) aveva condannato all’ergastolo Ilsa Koch – la pena di morte le era stata risparmiata perché era incinta – ma nel 1948 il generale e governatore militare del settore americano della Germania Lucius Clay le ridusse la condanna a quattro anni, sostenendo che l’accusa si era basata su molte voci non provate. La decisione provocò un’ondata di sdegno negli Stati Uniti da cui Guthrie prese spunto per la canzone che, scritta in prima persona da un prigioniero fittizio, descrive molti dei particolari che caratterizzavano il trattamento riservato agli ebrei nei campi di sterminio: il numero tatuato sulla pelle, i cani che sbranano che sbranano i prigionieri, i morti di fame a causa della scarsità di cibo, il furto dei denti d’oro dai cadaveri da parte dei nazisti, i forni crematori e i riferimenti alla pelle scuoiata dai cadaveri per farne dei paralumi, fino alla vicenda giudiziaria della supervisora. In questo testo Guthrie denunciava l’ipocrisia degli Stati Uniti, ma era soprattutto partecipe del dolore legato alle atrocità commesse dai nazisti.

Ilsa Koch venne liberata dai comandi dell’esercito statunitense in Germania nel 1949, ma venne arrestata lo stesso giorno del rilascio dalle autorità tedesche che la condannarono nuovamente all’ergastolo. Morì suicida nella sua cella il 1 settembre 1967. Un mese dopo, il 3 ottobre, anche Guthrie morì per le conseguenza del morbo di Huntington che lo aveva da tempo condannato al ricovero. Ma dal 1949 al 1967 vi sono quasi vent’anni. Nell’arco di questo tempo Woody non si era disinteressato all’ebraismo. L’interesse per questa cultura era infatti confluito nelle ultime battaglie di Guthrie che, pur rimanendo legate al sindacalismo e al comunismo, riguardavano soprattutto i diritti di civili in nome di quell’America priva di divisioni razziali che già agli albori della Seconda Guerra Mondiale aveva sognato. In tal senso non era venuto meno a quanto aveva promesso nel 1945 quando iniziò un programma alla radio WNEW di New York dicendo:

I sing songs that people made up to help them to do more work, to get somewhere in this old world, to fall in love and to get married and to have kids and to have trade unions and to have the right to speak out your mind about how to make this old world a little bit better place to work in. […] I hate a song that makes you think that you’re not any good. I hate a song that makes you think that you are just born to lose. Bound to lose. […]. Songs that run you down or songs that poke fun at you on account of your bad luck or hard traveling.”

Come notò Irwin Silber, editore comunista di origine ebraica, le canzoni di Woody Guthrie influenzarono gli eredi di seconda e terza generazione degli immigrati ebrei dall’Est Europa che cercavano «disperatamente di americanizzarsi e per il quali Guthrie rappresentava il cuore dell’America». Questi giovani dettero poi vita alla folk revolution degli anni Sessanta: tra di loro c’era un ragazzo proveniente da una famiglia ebrea, Robert Allen Zimmerman, che poco dopo sarà conosciuto come Bob Dylan. Come egli stesso ha ammesso nella sua autobiografia, Chronicles Volume 1 (2004), Woody Guthrie fu il suo padrino musicale. Un’influenza, quella di Guthrie, che è arrivata anche negli eredi degli immigrati irlandesi ed italiani del New Jersey come Bruce Springsteen il quale, come ha dichiarato nella sua autobiografia Born to Run (2016), non smette tutto’oggi di ispirarsi all’opera del poliedrico folk singer dell’Oklahoma. Tutto ciò mentre i Klezmatics, un gruppo newyorkese di musica klezmer – la musica tradizionale aschenazita – nel 2006 realizzavano un album con le canzoni sull’Hanukkah di Woody Guthrie: Happy Joyous Hanukkah & Wonder Wheel.

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