Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e mafie: nuove risorse e rischio di infiltrazioni. L’attuazione del Piano e gli investimenti connessi non sono immuni dal pericolo rappresentato dalla criminalità organizzata. A inizio ottobre la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) ha pubblicato la relazione trasmessa al Parlamento sulle attività svolte nel secondo semestre 2021.

Il documento, basato su evidenze investigative, giudiziarie e di prevenzione, rileva come vi sia il rischio che “i sodalizi di varia matrice, senza peraltro a rinunciare a porre in atto tutte le azioni necessarie a consolidare il controllo del territorio, possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr”.

Secondo la Dia l’inquinamento dell’”economia sana” è “condizione vincolante per qualsiasi strategia criminale di illecito accumulo di ricchezza che comporta la disponibilità di imponenti riserve di liquidità le cui origini devono essere celate e la cui consistenza può essere ingigantita invadendo il campo dell’imprenditoria legale”. 

La criminalità organizzata si fa quindi “impresa”, avvalendosi dei “rapporti di collaborazione con professionisti collusi la cui opera viene finalizzata a massimizzare la capacità di reinvestimento dei proventi illeciti con transazioni economiche a volte concluse anche oltre confine”, si legge nella relazione.

Nelle oltre 440 pagine trasmesse alla Camera dei deputati e al Senato la Dia dedica focus specifici alle principali organizzazioni mafiose. La ‘ndrangheta viene definita “silente” ma “più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale”. Le cosche calabresi “in un contesto socio-economico segnato trasversalmente dagli effetti della pandemia da Covid-19” continuano a presentarsi “quale potenziale minaccia su larga scala ai tentativi di ripresa”. La relazione rileva la capacità dell’organizzazione di “intercettare le forme di sostentamento pubblico anche in considerazione delle misure ad oggi già previste o che sono in via di adozione”. Secondo la Dia vi è una “comprovata abilità dei sodalizi calabresi di avvicinare e infiltrare quell’area grigia che annovera al suo interno professionisti compiacenti e pubblici dipendenti infedeli in grado di consentire l’inquinamento del settore degli appalti e nei più ampi gangli gestionali della cosa pubblica”.

Mentre per quanto riguarda la Camorra la relazione evidenzia come in Campania “i fenomeni della dispersione scolastica, della disoccupazione e della devianza minorile costituiscono variabili di un sistema complesso da cui gli attori criminali traggono forza e risorse a discapito della fiducia della popolazione nei confronti delle istituzioni locali e dello Stato”. Ciò trova riscontro ”anche negli effetti della pandemia da Covid-19 sul piano sociale ed economico incrementando da un lato la povertà nelle aree più depresse della regione, dall’altro rappresentando un’occasione di affermazione e rinnovato consenso per i clan più potenti”, i quali “in attuazione di una lungimirante strategia che punta al supporto e al soccorso nell’immediato di famiglie e imprese in difficoltà mirano ad acquisire un posizionamento tattico per capitalizzare gli aiuti erogati a sostegno all’economia locale.

Gli anniversari di Falcone e Borsellino


Dal 1992 ad oggi le relazioni semestrali della Dia sono state in grado di offrire una fotografia dettagliata sullo “stato di salute” della mafie: interessi, radicamento sul territorio e principali attività. Come ricordato da Biagino Costanzo su Formiche nel 2021 “sono passati trent’anni dalla nascita della Direzione Investigativa Antimafia, fortemente voluta, progettata e istituita da Giovanni Falcone sul modello dell’Fbi americana”.

E proprio quest’anno si sono svolte in tutta Italia manifestazioni ed eventi per ricordare il trentennale dalle morti di Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati protagonisti del pool antimafia del Maxiprocesso di Palermo (1986), caduti per mano di Cosa nostra negli attentati di Capaci (23 maggio 1992) e Via D’Amelio (19 luglio 1992). 

L’importante anniversario che riguarda due figure simbolo dell’antimafia è arrivato in un momento in cui il pericolo rappresentato dalle mafie appare sottovalutato, nonostante i rischi documentati dalla Dia. Dalla classe dirigente il tema viene messo in secondo piano rispetto a quelle che sono ritenute le “vere priorità”. Eppure le attività della criminalità organizzata – come dimostra l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia – sono collegate sia alla pandemia da Covid-19 che all’erogazione dei fondi del Pnrr, due dei temi politici più rilevanti degli ultimi anni. 

In un intervento pubblicato da Il Manifesto lo scorso 22 maggio il fondatore di Libera Don Luigi Ciotti si è soffermato sul rischio di “normalizzare il pericolo mafioso”. Non bisogna pensare che “una mafia meno cruenta non rappresenti più un pericolo mentre è vero il contrario: le mafie attuali organizzate come imprese” sono realtà insediate “nel tessuto economico e capaci di arricchirsi nell’ombra, sono più forti di quando imponevano il loro potere con le armi e le cariche di tritolo”, ha spiegato Ciotti. Per il fondatore di Libera le mafie fanno leva sul “disinteresse, la sottovalutazione o la miopia di tanti”. 

La sottovalutazione dei rischi

La sottovalutazione si è percepita alle elezioni di domenica 25 settembre. L’associazione Wikimafia – che ha creato in Italia la prima “wiki” dedicata al fenomeno mafioso – ha pubblicato un dossier intitolato “La mafia ignorata”, dedicato ai programmi dei partiti. Quello che emerge è che “la stragrande maggioranza dei principali partiti” che hanno partecipato alle elezioni “non considera prioritario il tema della lotta alla mafia”.

In un appello rivolto ai candidati e alle candidate e pubblicato da Avviso pubblico – l’associazione che riunisce enti locali e regioni contro mafie e corruzioni – si rileva come nei programmi dei partiti “la questione mafia, insieme a quella della corruzione, o non viene trattata, o vi si dedicano poche righe oppure si propongono interventi su alcuni settori specifici. Si fatica a rintracciare una visione sistemica, una diffusa e condivisa consapevolezza circa l’attuale pervasività e pericolosità dell’agire mafioso”.

L’appello, intitolato “#Nosilenziosullemafie”, prosegue evidenziando come i “report istituzionali – es. commissione parlamentare Antimafia, ministero dell’Interno, Direzione nazionale antimafia, Banca d’Italia – e diverse inchieste giudiziarie, anche recenti, raccontano come la pressione mafiosa nell’economia e sui territori si sia particolarmente acuita ormai in tutto il Paese, negando diritti e libertà fondamentali a migliaia di cittadini e operatori economici, rischiando di soffocare sul nascere ogni tentativo di ripartenza del nostro Paese, costretto a risollevarsi dalla pandemia prima e dalla guerra poi, eventi che hanno messo in ginocchio migliaia di famiglie e imprese”.

La lotta alle mafie risulta marginale nel programma della coalizione di centrodestra, uscita vittoriosa con circa il 44% dei voti alle elezioni del 25 settembre. Nell”’accordo quadro di programma per un governo di centrodestra”, sottoscritto da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi Moderati, la ”lotta alle mafie e al terrorismo” viene indicata come una delle priorità, ma non vengono formulate proposte specifiche sul tema.

Tuttavia va rilevato che la nuova presidente del Consiglio Giorgia Meloni nelle sue dichiarazioni programmatiche in Parlamento ha ricordato diverse vittime di mafia, tra cui Borsellino e Falcone. “Affronteremo il cancro mafioso a testa alta, come ci hanno insegnato i tanti eroi che, con il loro coraggio, hanno dato l’esempio a tutti gli italiani, rifiutandosi di girare lo sguardo o di scappare anche quando sapevano che quella tenacia probabilmente li avrebbe condotti alla morte”, ha affermato Meloni in quell’occasione. Va poi segnalato che il nuovo esecutivo è intervenuto sul delicato tema dell’ergastolo ostativo, con lo stesso decreto legge che contiene la cosiddetta “norma anti-rave”.

Gli atti del nuovo Governo sembrerebbero indicare un’inversione di rotta ma la maggioranza che lo sostiene ha poche idee – e allo stesso tempo diverse tra di loro – sulle mafie. Ogni forza politica della coalizione ha nel proprio programma le sue “ricette”. Ad esempio – come evidenziato da Andrea Giambartolomei su LaVialibera – per Fratelli d’Italia la lotta alle mafie “si coniuga molto con la lotta alla criminalità di origine straniera, come dimostra il loro atteggiamento nei confronti della mafia nigeriana, tema a cui hanno dedicato un sotto comitato in commissione antimafia”.

Il partito guidato da Meloni, che ha ottenuto il 26% dei voti alle ultime elezioni, è la principale forza politica rappresentata in Parlamento, con 118 deputati e 63 senatori. Nel programma elettorale di Fratelli d’Italia una delle poche proposte sul tema riguarda il rafforzamento della rete delle prefetture, al fine di “assicurare legalità e coesione sociale”. Il partito che ha un ruolo guida nel nuovo governo e in Parlamento non sembra dare sufficiente spazio (e importanza) alla lotta alle mafie.

L’azione di prevenzione nei confronti del pericolo rappresentato dalla criminalità organizzata rischia di finire marginalizzata, messa da parte rispetto ad altri temi ritenuti più importanti: rincari energetici e legge di Bilancio. Una sottovalutazione dei rischi a trent’anni dalla morte di chi, come Giovanni Falcone, ha dimostrato che la mafia è vulnerabile e non affatto invincibile: “si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.

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