È il 2015 e il ricercatore Will Kaufman rinviene negli archivi del Woody Guthrie Center a Tulsa, Oklahoma, tre brevi canzone in cui il celebre artista folk statunitense, si scaglia contro le pratiche discriminatorie applicate da Fred Trump, padre dell’ex presidente Donald, negli alloggi di sua proprietà a Beach Haven (New York). Il cantautore visse in questi appartamenti tra il 1950 e il 1952 con la moglie Marjorie Mazia e i figli. Le strofe sono state pubblicate nel 2016 su The Conversation e messe in musica nella canzone Old Man Trump da Tom Morello, Ani Di Franco e Ryan Harvey. I tre musicisti hanno giocato sull’ambiguità del cognome per attaccare il razzismo di Donald Trump.

Ripercorrendo l’intreccio tra la storia della famiglia Trump e quella di Guthrie qualcosa di inaspettato viene alla luce.

Fred Trump nacque a New York nel 1905. Abile imprenditore specializzato nella costruzione di appartamenti per la middle e lower class, si arricchì sfruttando soprattutto i programmi di finanziamento e prestiti del New Deal concessi tramite il Federal Housing Administration – un’agenzia che aveva lo scopo di migliorare gli standard abitativi e stabilizzare il mercato dei mutui. Fu grazie a questo programma che, tra gli anni Trenta e Quaranta, Trump costruì centinaia di case mono – familiari nel Queens e a Brooklyn, tra cui il complesso di Beach Haven. In questi appartamenti era praticata un’implicita scelta di esclusione razziale, per la quale, nel 1973 e nel 1978, sia Fred che Donald vennero accusati dal Civil Rights Division del Dipartimento di Giustizia. In entrambi i casi i Trump riuscirono a cavarsela. Nel 1973, infatti, il giovane Donald intraprese una causa contro il Dipartimento accusandolo di diffamazione. Le trafile legali terminarono solo dopo due anni, con la firma di un accordo che non prevedeva una ammissione di colpa da parte dei due Trump, ma comunque li impegnava alla desegregazione delle loro proprietà. Nel 1978 i due furono nuovamente accusati di violare l’accordo, riuscendo comunque ad uscirne indenni sfruttando la scadenza dell’accordo del 1975. Il termine arrivò prima che il Dipartimento potesse avere prove sufficienti per iniziare una nuova causa. Bisogna ricordare che anche la stessa Federal Housing Administration favoriva queste pratiche discriminatorie quando invitava i costruttori e gestori degli appartamenti finanziati ad evitarne l’uso “non armonioso”, suggerendo implicitamente di escludere i neri dalle case per i bianchi. Pochi dubbi sembrano comunque esserci sul razzismo di Fred Trump, dal momento che il 29 maggio 1927 partecipò ad una marcia – risoltasi con violenti scontri con la polizia – del Ku-Klux-Klan tenutasi a New York in occasione della Memorial March per i militari caduti in guerra. Fra i membri del Klan arrestati vi era anche lui, il padre di Trump.

Ma torniamo a Woody Guthrie.

Il celebre artista folk nacque in Oklahoma nel 1912, Stato in cui all’epoca vigeva il segregazionismo. La famiglia Guthrie si era stabilita nel Sud del paese a metà dell’Ottocento, e sia il nonno che Charlie, il padre di Woody, iniziarono a far fortuna lavorando in piccoli ranch. Charlie possedeva uno spirito imprenditoriale che lo portò a cambiare diversi mestieri – se la cavava con la speculazione terriera – e ad essere eletto come rappresentante del suo distretto nel 1910 per il Partito democratico. Quando nel 1912 nacque Woody la famiglia era ormai di condizione agiata, anche se con il tempo questa condizione sarebbe mutata in peggio. Charlie Guthrie era profondamente diverso da come suo figlio sarebbe diventato: era un membro del Ku-Klux-Klan e nel 1911 prese parte ad un linciaggio nella sua città, Okemah, ai danni di una famiglia afro-americana.[1] Il padre di Woody Guthrie era anche anti-socialista. Nel 1911 pubblicò Fixed Aim of Socialism, un testo sarcastico contro i socialisti. All’epoca non esisteva ancora il Partito comunista, ma il padre di Woody non sarebbe stato certamente un suo elettore, a differenza del figlio. Woody Guthrie divenne infatti un fervente sostenitore del Communist Party (CPUSA), un sostegno che non era – o non era soltanto – ideologico, ma legato piuttosto all’attenzione e ai programmi che il partito indirizzava all’organizzazione della working class più povera, delle minoranze di colore e immigrate. E questa sua politicizzazione negli anni della Grande depressione coincideva con il superamento del retaggio razziale e razzista della sua famiglia. Retaggio che era per certi versi ancora presente quando egli arrivò in California alla metà degli anni Trenta insieme ai migranti delle Dust Bowl che cercavano di sfuggire alla povertà legata alla fine delle piccole proprietà terriere e alle grandi tempeste di polvere che colpivano soprattutto la zona dell’Oklahoma e del Texas. Durante le sue trasmissioni alla KFVD, una radio di Los Angeles, Guthrie spesso usava la parola nigger rintracciabile anche canzoni Little Liza Jane, un brano popolare reinterpretato da Guthrie. Ancora più rilevante in questo senso è il testo Santa Monica Social Register Examine ‘Er del 1937, scritto dopo un incontro “aggressivo” con alcuni afro-americani. Santa Monica è un miscuglio di ironia condita con una serie di stereotipi razzisti dell’epoca, come quello ad esempio del presunto istinto primitivo dei “negri”:

We could dimly hear their chants

And we thought the blacks by chance,

Were doing a cannibal dance

This we could dimly see.

Guess the sea’s eternal pounding

Like a giant drum a-sounding

Set their jungle blood to bounding;

Set their native instincts free.

Il cambiamento, se così lo si può definire, avvenne il 20 ottobre 1937 quando un ascoltatore gli inviò una lettera di rimprovero per aver cantato la versione razzista di Run, Nigger, Run di Uncle Dave Macon, in cui si sostiene che se anche i “negri” provano a scappare vengono acciuffati dai “patroller”. La lettera colpì profondamente Guthrie, tant’è che la lesse alla radio scusandosi pubblicamente. Come in molti hanno notato, il celebre artista stava diventando consapevole di essere in una situazione molto simile a quella degli afroamericani. In quanto Oakie – i bianchi impoveriti senza casa che migravano verso Ovest – era lui stesso vittima di segregazione, talvolta persino di fantasie eugenetiche.

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Nonostante quanto detto, nell’autobiografia che Guthrie pubblicò nel 1943, Bound for Glory, non vi è traccia del suo passato razzista. Piuttosto il folk singer racconta quando da bambino incontrò una signora di colore che comprava il latte da sua nonna, che gli spiegò con dolcezza quanta sofferenza potesse creare la parola “nigger”. Nell’autobiografia il bambino Woody era incredulo: non riusciva a capire la differenza che poteva esserci fra un bianco e un nero. È evidente un certo disagio nei confronti del proprio passato, dovuto anche al crescente impegno, sindacale e politico, in favore dei diritti civili. Disagio che emerge sia nella dedica alla canzone Slipknot (1940) per le vittime del linciaggio al quale aveva partecipato anche il padre, sia nel romanzo Seeds of Man (scritto nel dopoguerra e pubblicato postumo nel 1975), che racconta di un viaggio in Messico nel 1931 in cui l’autore tenta di riabilitare il padre.

Woody Guthrie, quindi, riuscì ad emanciparsi dal contesto razziale e razzista di provenienza, come testimoniano numerose successive canzoni e la dedizione alla causa dei diritti civili. Il suo impegno per gli afroamericani crebbe col tempo, fino a divenire centrale nella sua produzione artistica del secondo dopoguerra. Ad esempio in Here’s a Tale a Feller Told Me (senza data) richiama il viaggio degli schiavi all’epoca della tratta e il lavoro tra i filari di cotone; in Einstein Theme Song (agosto 1950) critica i maltrattamenti e le discriminazioni razziali cercando di mostrare come non vi sia differenza fra il Nord ed il Sud del paese: ovunque vada, un afroamericano è sempre maltrattato. Altre canzoni prendono spunto dalla cronaca, in un intreccio che mette in risalto la tragedia dell’avvenimento, il patriottismo delle vittime, e le ingiustizie legali, visto che la maggior parte delle giurie erano composte da soli bianchi – ad esempio: The Ferguson Brothers Killing (1946) o The Ballad of Rosa Lee Ingram (1948). Il 4 settembre 1949 il suo impegno lo portò anche a rischiare la vita a Peekskill (New York) ad un concerto di Paul Robeson, cantante e attivista afro-americano: il concerto era stato programmato per il 27 agosto, ma fu necessario un rinvio a causa del blocco dell’American Legion e del KKK che già in questa occasione avevano aggredito il pubblico e gli organizzatori, fra cui vi era anche Woody. A settembre, invece, il concerto si svolse, ma all’uscita le macchine vennero colpite da una sassaiola che provocò diversi feriti, tra cui di nuovo Guthrie. Su questa vicenda scrisse diverse canzoni, come Peekskill Klookluk Blues o My Thirty Thousand. Ed è all’interno di questo contesto, caratterizzato dalla centralità dell’impegno in favore dei diritti civili di Guthrie, che vanno collocate le strofe scritte contro Fred Trump. Parole che, come in molte sue altre canzoni, fanno sì che Woody Guthrie sia ancora oggi attuale, complice anche l’uso politico della produzione artistica del folk singer dell’Oklahoma. La registrazione di Old Man Trump è un esempio dell’attualità di Guthrie. Ancora più esemplare è il caso del suo testo più celebre, This Land is Your Land, usato più volte sia da politici democratici che repubblicani, nonostante Guthrie non abbia mai dichiarato di appoggiare uno dei due partiti, come cantava anche in Ease my Revolutionary Mind (senza data):

If you’re a republican or a democrat,
Or a white hood Ku Klux Klan,
No use to ring my doorbell
‘Cause I’ll never be your man
.

Anche Bernie Sanders, durante le primarie democratiche del 2016, ha “coinvolto” Woody Guthrie, andando a visitare il Woody Guthrie Center e cantando la notte della vittoria in Vermont, assieme ad alcuni collaboratori, This Land Is Your Land – come del resto aveva fatto nel 1987, quando registrò il disco We Shall Overcome assieme ad alcuni musicisti del Vermont in cui erano incluse anche delle canzoni di Guthrie. Persino Lady Gaga durante il Super Bowl del 2017 ha interpretato This Land con un implicito intento critico nei confronti di Donald Trump. Andando ancora indietro negli anni si trovano altri esempi di come le canzoni di Guthrie siano state calate in contesti sociali e politici eterogenei: nel 2009 Bruce Springsteen e Pete Seeger cantarono This Land per l’inaugurazione della presidenza Obama; nella campagna presidenziale del 1988 fu invece George H.W. Bush ad usarla; nel 1968 ad una interpretazione di This Land da parte di Seeger rispose il capo dei Sioux Lakota rimproverandogli che, piuttosto, questa terra “belongs to me – il cantante folk scrisse così un nuovo verso, This land was stole by you from me, per includervi il punto di vista dei nativi. Più recentemente, invece, durante la cerimonia di insediamento di Joe Biden a gennaio è stata Jennifer Lopez a cantare This Land Is Your Land, con il chiaro intento di sottolineare che «questa terra» appartiene anche ai lations come lei.

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Ciò che rende possibile un uso così forte ed eterogeneo di This Land is Your Land, così come di altre canzoni di Woody Guthrie, sono diversi fattori. Innanzitutto la compresenza di versioni diverse del testo di This Land. La versione “moderata”, pubblicata nel 1951 (registrata nel 1944) è priva dei due versi contro la proprietà privata e la povertà ed è ovviamente tra le più usate, specialmente tra le fila repubblicane. In secondo luogo, pur nascendo come critica alla canzone patriottica God Bless America di Irving Berlin, This Land è essa stessa una canzone patriottica. Un patriottismo, quello di Guthrie, che riprende l’orgoglio e il legame con la propria terra – anche con toni naturalistici e con echi del Manifest Destiny statunitense – ma che allo stesso tempo attinge alle esperienze novecentesche di lotta sindacale, sociale e politica. Infine una certa ambiguità di fondo – dovuta al canone folk – nei testi di alcune canzoni, come la versione moderata di This Land. Elementi che rendono le canzoni facilmente reinterpretabili e utilizzabili in contesti diversi.

Per evitare l’utilizzo strumentale dell’opera di Guthrie una delle sue figlie, Nora, ha deciso di ricorrere ad un controllo più stringente sulla proprietà e l’uso delle canzoni del padre, anche se pure qui troviamo un certo uso politico: «Our control of this song has nothing to do with financial gain…. It has to do with protecting it from Donald Trump, protecting it from the Ku Klux Klan, protecting it from all the evil forces out there». L’eredità di Woody Guthrie, d’altro canto, non può che essere politica: tutta la sua opera mira a fondere linguaggio e azione in quelle che sono vere e proprie narrazioni di rivolta identitaria. Narrazioni perché prendono spunto da avvenimenti reali, romanzandoli per mostrare con l’esempio la via da seguire. Di rivolta perché l’obiettivo è un mutamento dell’assetto vigente. Identitaria perché per Guthrie è sempre una questione di classe, pur se non in senso strettamente marxista, ma più ampio: tutti gli oppressi, che siano gli afroamericani, i contadini del Sud – Ovest, i migranti e via dicendo. L’operazione messa in atto da Nora Guthrie si colloca all’interno di un’azione ben definita: preservare l’identità e l’eredità di Woody, evitando così la depoliticizzazione – e quindi la destoricizzazione – dell’opera del padre. È quindi all’interno di questo quadro che la registrazione di Old Man Trump va collocata.

Una prima versione, ma differente dal testo qui riprodotto, dell’articolo è stata pubblicata nel blog del Centro Interuniversitario di Storia e Politica Euro – Americana C’era una volta l’America ed è consultabile qui.


[1] Per le informazioni bibliografiche su Guthrie si veda: Joe Klein, Woody Guthrie: a life, New York, Delta, 1999.

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