Inizia così uno degli ultimi editoriali di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera. Un intervento estremamente preoccupato per lo stato di salute della cultura europea, ma che tradisce in sé diversi errori e contraddizioni. La prima: difendere la conoscenza ricorrendo a false notizie al fine di alimentare una polemica che sarebbe altrimenti inesistente. Omero, Dante, Shakespeare e Mozart sono da qualche tempo al centro di una difesa della “nostra cultura” rispetto agli studiosi (liberal) politicamente corretti. È di qualche settimana fa, infatti, la denuncia su La Repubblica de “l’incredibile attacco” a Dante da parte di un giornalista tedesco che avrebbe definito il poeta come “arrivista e plagiatore”. L’articolo di Arno Widmann, per la verità, era una celebrazione di Dante in cui era presente un riferimento al fatto che la Divina Commedia è una summa teologica della sua epoca, come del resto qualsiasi studioso anche italiano può confermare. Repubblica ha preferito puntare sulla dimensione scandalistica e con lei anche alcuni “intellettuali” come Gianrico Carofiglio che subito si sono mossi in difesa del poeta. Sarebbe stato sufficiente non cadere nel solito stereotipo dei germani ignoranti, nella difesa della patria dall’invasore tedesco. Sarebbe stato sufficiente controllare la fonte, come peraltro un ex magistrato dovrebbe fare e anche della Loggia avrebbe dovuto fare tanto più che proprio sul suo giornale, il Corriere della Sera, Roberto Saviano aveva chiarito la vicenda.
Omero, Shakespeare, Mozart e Beethoven sono invece al centro di una polemica ripresa da quasi tutti i media italiani secondo cui alcuni professori di Oxford vorrebbero eliminarli dai programmi universitari perché espressione della cultura bianca, razzista e colonialista. Nulla di vero, come sottolineato dalla stessa università. La notizia era circolata dopo che il quotidiano conservatore inglese The Telegraph aveva avuto accesso ad alcune mail riservate di alcuni docenti di Oxford in cui si sosteneva l’idea di adeguare i curriculum universitari alla musica e alla cultura non prettamente occidentali. Il Telegraph ha montato la notizia secondo cui a Oxford si volesse cancellare Mozart & Co., notizia che è stata poi ripresa anche da siti come Breitbart, dal Corriere e altri giornali italiani. Nessuna verifica della fonte, solamente una polemica che potremmo definire sterile se non fosse che cela il timore della fine del privilegio bianco e del “primato” della cultura occidentale di cui anche della Loggia si erige difensore, suo malgrado.
Contrariamente a quello che della Loggia e altri possono pensare l’intento di Black Lives Matter, dei movimenti per la difesa delle donne e di denuncia degli abusi come #MeToo o Non Una di Meno, e altri ancora non è un intento distruttivo che vede “nella nostra storia un cumulo di errori e di orrori”. Né le critiche che vengono mosse sono “deliranti” – facile attaccare chi la pensa diversamente sminuendolo: è lo stesso stratagemma che veniva usato per reprimere le donne diagnosticandole l’isteria – e paralizzano l’Occidente, anzi esse sono indicatore della vitalità del dibattito presente senza il quale saremo di fronte a società stantie e morenti. Per sostenere la sua tesi della Loggia porta un discorso storico:
“Abbiamo cominciato a perdere la dimensione del passato. Non solo a ignorare i fatti accaduti, che già non è poco, ma soprattutto a dimenticare che l’universo dei valori è anch’esso un universo storico, vale a dire soggetto a modifiche profonde con il passare del tempo. Per cui ciò che oggi ci appare inconcepibile — mettiamo la condizione d’inferiorità della donna o il lavoro dei minori — due o tre secoli fa era cosa comunemente accettata come la più ovvia normalità: tanto nella nostra cultura come in ogni altra del pianeta. Lo stesso dicasi dell’uso della tortura, della violenza e della guerra. […] È evidente che nella storia così come non esistono ragioni non esistono neppure torti, specie se ascrivibili a qualcosa di cosi generico come le culture o le civiltà”.
Secondo della Loggia, quindi, chi critica non conoscerebbe la storia che è “terra straniera” in cui non è possibile guardare con gli occhi di oggi. Se la premessa è giusta – non guardare con gli occhi di oggi al passato – lo sviluppo del ragionamento è fuorviante. L’editorialista del Corriere non coglie il fulcro del dibattito intorno alle statue, di Black Lives Matter o altri movimenti, cioè il significato politico che viene attribuito oggi a certe rappresentazioni. Ciò vale soprattutto per le statue che non sono un retaggio dell’epoca che rappresentano, ma sono state costruite successivamente con una finalità politica. È la finalità, la questione politica che la rappresentazione mette in scena, e dunque le asimmetrie di potere, che vengono criticate. Ci sono poi almeno altri due errori. Innanzitutto la giustificazione di alcuni aspetti del passato perché all’epoca erano “normali”, la quale da un lato soggiace una logica intrinseca di progresso criticata anche da della Loggia; dall’altro adduce la tesi secondo cui se in passato una pratica era accettata era, pertanto, giusta (“ciò che oggi ci appare inconcepibile — mettiamo la condizione d’inferiorità della donna o il lavoro dei minori — due o tre secoli fa era cosa comunemente accettata come la più ovvia normalità”). Come storico non posso che trovarmi d’accordo nel sostenere che nella ricerca non si debba prendere posizione, pena il venire meno di quel distacco che consente di mantenere l’imparzialità necessaria ai criteri scientifici che normano la ricerca. Ma un conto è, per l’appunto, l’attività di ricerca un altro sfruttare questa premessa per i propri fini. “È evidente che nella storia così come non esistono ragioni non esistono neppure torti” non è una frase che andrebbe pronunciata con leggerezza perché implica che crimini come la Shoah non possano essere giudicati o portati ad esempio alle nuove generazioni. Si tratta quindi di un ragionamento fallace e pericoloso che potrebbe legittimare le istanze di frange politiche certamente non democratiche, come le formazioni neonaziste e neofasciste. Infine “qualcosa di così generico come le culture o le civiltà” non può che trovarmi d’accordo. Nella storiografia è stato demolito il concetto di cultura e di civiltà come qualcosa di granitico, di immutabile e definibile in base a dei contorni netti, perché nelle storia, così come nella cultura, i confini non esistono: si tratta sempre di contaminazioni ed intrecci. In tal senso della Loggia è contraddittorio rispetto alla sua argomentazione. Nell’incipit dell’articolo scrive “perché si diffondesse l’idea che la nostra storia sia null’altro che un cumulo di errori e di orrori?” (corsivo mio). Difatti l’intento del suo articolo, perlomeno inizialmente, era quello di difendere la “nostra” cultura e la “nostra” storia – un qualcosa di simile è stato fatto in passato anche da un non storico: Alberto Angela. L’uso dell’aggettivo “nostro” indica infatti un contorno definito, dunque la consapevolezza che non ha a che fare con il concetto di generico poi espresso da della Loggia. Per di più se ci riferiamo alla storia come “nostra” la si intende non più come il risultato della ricerca, ma come memoria – un’altra antinomia – cioè come patrimonio collettivo di un popolo o di una nazione che è pertanto giusto in sé per sé nonostante vi siano episodi brutali o ingiusti. Ma la contraddizione che svela quanto per della Loggia la “nostra” cultura sia non solo ben definibile, ma anche in un certo qual modo superiore e pertanto difficilmente criticabile è in questo passaggio:
“La vera differenza (peraltro decisiva) è stata nel fatto che a causa delle conoscenze scientifico-tecniche che la civiltà europea è stata per quattro o cinque secoli l’unica a detenere, essa ha avuto una potenza di sopraffazione e di egemonia che nessun’altra civiltà ha avuto”.
Frasi del genere costano la bocciatura in qualunque corso di storia perché svelano il pregiudizio eurocentrico e l’assenza di distacco. Si tratta dell’idea (sbagliata) secondo cui l’Europa sia una civiltà più avanzata delle altre adducendo un paragone con le altre civiltà che si basa su un punto di vista strettamente personale e non comprovabile proprio in nome dell’anacronismo cui anche della Loggia precedentemente faceva riferimento.
Editoriali come quello di della Loggia contribuiscono ad alimentare il basso livello del dibattito culturale italiano, spesso inadeguato rispetto a quel che accade nel resto del mondo e appiattito su “notizie” ben poco rilevanti. Probabilmente ciò è dovuto all’impreparazione di alcuni e all’essere espressione di un mondo culturale ormai non più specchio dei tempi. Il risultato è la difficoltà che l’Italia ha ad aprirsi all’esterno, da un lato, e l’elevatissimo numero di giovani che se ne vanno a vivere all’estero, alla ricerca di un’occupazione e di un contesto più dinamico e a loro favorevole. Difatti certi ambienti italiani, grazie anche a idee come quella fino ad ora dibattuta, non vedono di buon occhio chi critica certe asimmetrie di potere che riguardano soprattutto i giovani e le donne, preferendo arroccarsi nella difesa nazionalista e anacronistica della “storia italiana”, sovente criticata dagli storici per la sua inconsistenza scientifica.
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Cofondatore de L’Eclettico e dottorando in Scienze Storiche nelle Università di Firenze e Siena. Sempre con lo zaino in spalla. Tra un trekking e un altro scrivo per diverse realtà. Sono uno storico delle mentalità e delle relazioni internazionali. Mi occupo di esteri, soprattutto USA e Francia. Pubblico racconti qua e là. Ogni tanto parlo alla radio e in alcuni podcast. Non ho vissuto sempre dove vivo adesso, ma ho sempre avuto la mia chitarra e la letteratura al mio fianco. Ho fatto una scelta di parte: parlare di giovani e oppressi, criticando l’alienazione e lo sfruttamento sul lavoro.